La sera dell’11 novembre ci siamo ritrovati in molti per ascoltare l’amico scrittore Paolo Gulisano sulla sua ultima fatica. E ci ha stupito con una bella novità: una presentazione tridimensionale, provocata nell’incedere della serata dalla presenza di un’attrice di teatro, che supportava il relatore con la declamazione vibrata di brani del testo di Melville.
Il capolavoro di Gulisano è: Fino all’abisso. Il mito moderno di Moby Dick (Editrice Ancora, Milano. Pag.170 euro 16). Per saperne di più, ZENIT lo ha intervistato.
Gulisano ha rilasciato una bella intervista a ZENIT, reperibile all’indirizzo http://www.zenit.org/it/articles/moby-dick-il-capolavoro-moderno-piu-simile-alla-divina-commedia , alla quale attingiamo e che riportiamo di seguito:
Perché un libro su Moby Dick, un romanzo di 160 anni fa?
Gulisano: Moby Dick non è un romanzo. Semmai, è il romanzo. Una forma che contiene tutte le forme, un racconto nel quale altri racconti confluiscono come correnti nell’oceano. Nello stesso tempo, però, è un libro che si attiene al mandato di una semplicità sconcertante, tanto che la trama si potrebbe riassumere in poche parole: là fuori, in alto mare, un uomo dà la caccia a una balena. Tutto qui? Il libro però è molto più profondo di quanto possa sembrare all’apparenza.
Lo aveva compreso perfettamente il primo traduttore italiano del capolavoro di Melville, Cesare Pavese: “Leggete quest’opera (Moby Dick) tenendo a mente la Bibbia e vedrete come quello che vi potrebbe anche parere un curioso romanzo d’avventure , vi si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro cui non sono mancati né il cielo né la terra a por mano”.
Il capolavoro di Melville è quanto di più simile alla Commedia di Dante sia dato di scrivere – e leggere – nell’epoca moderna. Se il “poema sacro” ribadisce che l’Assoluto è il destino dell’uomo, Moby Dick parte da questa medesima consapevolezza, rovesciandone però il significato. L’Assoluto è diventato una condanna, una presenza enorme e nello stesso tempo sfuggente, verso la quale parrebbe lecito, quando non addirittura irrinunciabile, esercitare il diritto alla rivolta.
Tutto in Moby Dick sembra essere fuori dal tempo e dallo spazio: la caccia sembra non finire mai, il Pequod veleggia sulle acque di oceani senza fine, tutto sembra muoversi e stare fermo allo stesso tempo. Tutto il suo libro, Gulisano, parla di avventura, di ricerca, e di fede…
Gulisano: Pavese aveva colto l’aspetto di sacralità di questa opera. Un sacro che riconduce alla Divinità, in una forma misteriosa, celata, tutta da decifrare, e alle sue manifestazioni, che agli occhi dell’uomo possono apparire anche negative, oltre che incomprensibili.
Quella raccontata nel romanzo di Melville dunque è vera e propria epica. L’epica rappresenta la più antica forma di narrativa, e spesso costituisce anche una sorta di sintesi del sapere religioso, culturale e politico di una civiltà.
Il fulcro dell’epica è costituito dalle gesta dell’eroe, che si caratterizza per le sue particolari qualità, sia che si tratti di virtù che di difetti.
Melville realizzò l’epica della giovane America dell’800 che aveva conquistato con la forza l’indipendenza, distaccandosi dalle sue radici britanniche ed europee, lanciandosi alla conquista di nuove frontiere. È l’epica di una nazione ma anche di un tempo, l’800 positivista e scientista, che vuole sfidare le leggi della natura e di Dio, che con la tecnica decide prometeicamente di scalare i cieli.
I poemi epici di tutte le letterature tuttavia attingono a un patrimonio di miti preesistente; Melville, quindi, attinge agli elementi dell’epica più antica, quella che vedeva uomini senza paura affrontare le sfide del mare: l’Iliade, l’Odissea.
La follia tragica di Achab sembra rievocare invece gli eroi antichi, contrapposti ad un destino avverso, che si ergevano orgogliosamente sotto un cielo privo di dèi.
Un’epica religiosa, con evidenti richiami biblici…
Gulisano: Epopea dell’empietà (o forse di un empio, il folle capitano, ma talmente magnetico da trascinare con sé il resto dell’equipaggio), Moby Dick è un testo del tutto incomprensibile al di fuori della tradizione biblica nella quale si inserisce. Dall’evocazione del Leviatano, centrale già nel Libro di Giobbe, fino al minuto dettaglio dei nomi propri – Achab è il re maledetto, Ismaele è il reietto che il patriarca Abramo ha concepito con la schiava Agar e via di questo passo – dalla falsariga della vicenda di Giona fino all’apparizione della naveRachele, madre straziata alla ricerca dei figli perduti, non c’è pagina del romanzo che non possa essere incrociata con una pagina o almeno con un versetto della Scrittura.
Solamente in virtù di questa matrice biblica il libro tollera al suo interno la presenza di figure antagoniste quali il profeta pagano Queequeg e l’adoratore del fuoco Fedallah, il parsi che rappresenta la sapienza ancestrale del più antico monoteismo. Melville lo ripete con tutta la chiarezza che gli è possibile: il romanzo moderno o sarà sacro oppure non sarà. O accetterà di misurarsi con la condanna dell’Assoluto oppure si ridurrà a un genere di intrattenimento, ben scritto, magari, e meglio ancora congegnato ma rinunciabile, trascurabile, ininfluente sulle vite e le passioni degli uomini.
L’ombra che si allunga su queste pagine è sempre la stessa, ed è l’ombra di Dio, condizione essenziale e insieme ostacolo ostinato per il compimento di ogni racconto. Moby Dick è tutto questo e altro ancora. Moby Dick è la ricerca, infinita e necessaria.
Dottor Gulisano, lei ha affrontato nel corso dei suoi studi e delle sue opere diversi autori, alcuni manifestamente cristiani come Chesterton, Tolkien o Lewis, altri più “di frontiera”, come Oscar Wilde oppure, come in questo caso, Melville. Qual è il filo rosso della sua ricerca?
Gulisano: La letteratura è una straordinaria compagna di viaggio dell’uomo: ci può condurre in alto, ci può condurre fino agli abissi dell’anima. Ci può parlare dell’odissea di ogni vita, del suo significato, della presenza del destino, della psicologia del profondo. La letteratura che io amo e che cerco di indagare e presentare, è che quella che suscita nel lettore la nostalgia di cose belle, vere, grandi. La letteratura non va confusa con la catechesi, sono cose diverse. La vera, grande letteratura è quella che in grado di provocare la nostalgia di Dio. È quella che muove a cercare la risposta alla sete di verità che è nel cuore di ognuno.