IL GIOCO POLITICO DI RENZI

Il gioco politico di Matteo Renzi

di Ruben Razzante 09-01-2014

Enrico Letta e Matteo Renzi


 Chi osserva la politica italiana delle ultime settimane forse rimpiange i riti tanto deprecati della cosiddetta Prima Repubblica e fa fatica a riconoscere i ruoli degli attori in campo. Il nuovo segretario del Pd, principale azionista dell’esecutivo, si atteggia a premier e conduce per conto suo plateali giri di consultazione con tutti i leader delle forze politiche di maggioranza e d’opposizione per trovare la “quadra” sulla legge elettorale. Da una parte, dunque, demonizza i bizantinismi della vecchia politica, dall’altra li pratica anche lui, catturando l’attenzione dei media.

Nel frattempo lo stesso Renzi incalza il vero premier su lavoro, riforme, diritti civili, scelte di politica economica, per indebolirlo, farlo litigare con i suoi alleati, condurlo sfibrato al semestre italiano di presidenza europea, sostituirlo alla guida del centro-sinistra, anche attraverso primarie di coalizione. Ma c’è una scuola di pensiero che vorrebbe il segretario del Pd addirittura smanioso di far cadere Letta subito dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale. A quel punto la “marcia su Roma” del sindaco di Firenze sarebbe trionfale, con probabile vittoria delle probabili elezioni anticipate e gestione del potere senza più i condizionamenti del vecchio apparato postcomunista.

In questo disegno di demolizione dell’attuale quadro di governo, Renzi può giocare di sponda con Berlusconi e Grillo: il primo è preoccupato di finire ai domiciliari (e non ai servizi sociali), con evidente riduzione dei margini d’azione e di propaganda politica, e quindi si ostina a condurre una sua personale campagna elettorale permanente; Grillo osserva preoccupato le prime crepe e i diffusi segnali di disillusione nei confronti del suo movimento (vedi gli scricchiolii emersi nelle campagne elettorali per le regionali in Basilicata e Sardegna) e preferirebbe andare alle urne quanto prima per cacciare i dissidenti e gli uomini a lui sgraditi e imporre candidati blindati e fintamente indicati dal “popolo della Rete”.

Va detto che anche il governo ha deciso in più occasioni di farsi male da solo, sia con il pasticcio dell’Imu, che alla fine si pagherà, sia con l’annunciata e poi revocata detrazione dei 150 euro ai prof, solo per citare gli scivoloni più imbarazzanti e recenti.

Da una parte l’inesperienza di alcuni ministri, dall’altra la mancanza di coesione tra le forze politiche che lo sostengono: fatto sta che il governo continua a navigare a vista e difficilmente sarà in grado di promuovere quelle riforme necessarie per dare una svolta soprattutto all’economia del Paese. Solo la favorevole congiuntura internazionale sta dando un po’ di respiro ai nostri conti pubblici, ma quanto durerà?

Letta ha perfino rimandato il suo viaggio in Turchia previsto per il 17 gennaio, proprio perché vuole mettere a punto senza pause il programma 2014 del suo governo e traghettarlo verso porti più sicuri almeno fino agli inizi del 2015. Ce la farà? Molto dipenderà dal “faccia a faccia” che avrà nelle prossime ore con Renzi e da quello che deciderà la direzione del Pd, convocata per giovedì 16. A quel punto le carte saranno scoperte e si capirà anche se l’ipotesi rimpasto si concretizzerà. Le ultime voci parlano dell’ingresso di alcune figure nuove e autorevoli che possano dare credibilità e forza a un esecutivo agonizzante. Perfino Renzi avallerebbe tale ipotesi, che ridurrebbe il peso specifico degli alfaniani nella compagine governativa e non farebbe “sporcare le mani” a uomini renziani in un governo destinato a durare al massimo un altro anno.

Il sindaco di Firenze con astuzia ha annunciato che si ricandiderà alle amministrative, proprio per fugare i sospetti di killeraggio nei confronti dell’esecutivo, ma la verità è che per lui sarebbe molto meglio andare subito alle urne e capitalizzare le aperture di credito ricevute in questi mesi dalla base del suo partito e anche da alcuni suoi potenziali alleati come Mario Monti, che potrebbero fare la differenza nelle urne e garantirgli una vittoria con qualsiasi sistema elettorale, anche con il Mattarellum.

Quest’ultimo potrebbe essere paradossalmente il terreno d’incontro tra partiti grandi e forze minori: i primi (Pd, Forza Italia, Movimento Cinque Stelle) dicono di preferire un sistema sul modello spagnolo, destinato a stritolare i partitini intermedi, Nuovo Centrodestra compreso; il modello del Sindaco d’Italia, difeso da Alfano e dai neocentristi, non è ben visto da berlusconiani e grillini. Resterebbe, dunque, il Mattarellum con alcune correzioni, al fine di consentire ai cittadini di tornare a scegliere i propri rappresentanti in Parlamento (attraverso collegi uninominali) e ai partiti più piccoli di non sparire, grazie a un recupero proporzionale o a un “diritto di tribuna”.

Rimangono incerte le sorti del Nuovo Centrodestra e dei cespugli centristi. Per loro il primo banco di prova saranno probabilmente le elezioni europee, alle quali si presenteranno ognuno per conto proprio. Lì si misurerà la loro consistenza e anche la forza attrattiva che riusciranno ad esercitare nei confronti del popolo moderato, ancora fortemente attratto, a quanto riferiscono i sondaggi, dalle sirene berlusconiane.