Critiche al Papa? In certi ambienti sono troppo facili di Giovanni Cavalcoli O.P.
I Papi hanno sempre avuto dei nemici sia dall’interno della Chiesa che dal di fuori. Abbiamo avuto i Papi martiri dei primi secoli, vittime degli imperatori romani. Abbiamo avuto i Papi contestati dagli scismatici orientali a partire dal sec. XI. Abbiamo avuto l’opposizione subìta dagli imperatori tedeschi in occasionedella lotta per le investiture nei secc. XII-XIII. I catari del sec. XIII respingevano il papato. Abbiamo avuto lo scisma d’Occidente nel sec. XIV. Abbiamo avuto le teorie conciliariste contro il primato del Papa nel sec. XV. Abbiamo avuto nel sec. XVI la dura polemica di Lutero ed altri eretici contro l’istituzione stessa del papato. Nel sec. XVII il gallicanesimo e i giansenisti francesi restringevano indebitamente l’ambito di autorità del Sommo Pontefice. Con Napoleone il papato ha subìto gravi umiliazioni. Il papato dell’Ottocento è stato duramente attaccato da varie forze anticristiane: massoni, anarchici, marxisti, positivisti, protestanti, teosofi e comunque ribelli, come un certo patriottismo liberale e mazziniano italiano.
I modernisti dei tempi di S.Pio X non erano in linea di principio contrari al papato, ma lo intendevano in modo errato, non come magistero infallibile di una verità salvifica immutabile per mandato di Cristo, ma come interpretazione, istituzionalizzazione ed espressione umana e quindi fallibile e mutevole, del libero movimento religioso spirituale popolare suscitato da Cristo simboleggiato dal Vangelo.
Con l’avvento del Concilio Vaticano II il papato ha assunto un nuovo ruolo. L’accento non è più venuto sul compito del Pontefice di vigilare sulla purezza ed integrità della dottrina cattolica combattendo errori ed eresie, ma di annunciare il Vangelo all’umanità di oggi, rivolgendosi non solo e non tanto ai cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, quali che siano le loro convinzioni religiose, morali o dottrinali, certo respingendo gli errori più gravi, come per esempio l’ateismo, lo scientismo, il laicismo, il totalitarismo, la dittature, la superbia antropocentrica, il lassismo morale, le grandi ingiustizie sociali, il ricorso alla violenza, il gusto della guerra.
Con questo nuovo stile il papato si è procurato nuovi nemici, diversi da quelli del passato. Fino a Pio XII erano praticamente rimasti i citati nemici ottocenteschi, con l’aggiunta di un non del tutto estinto modernismo che tentò di risorgere con la téologie nouvelle, che fu confutata nella famosa enciclica Humani Generis del 1950.
Adesso, mentre da una parte il papato, soprattutto col Beato Giovanni XXIII, iniziava un certo dialogo con i dissidenti orientali, col mondo protestante ed ebraico e con gli stessi non-credenti – famosa è rimasta la visita a Papa Giovanni di Agiubei, il genero di Krusciòv -, per cui si mitigava l’ostilità del mondo laicista, massonico, liberale e comunista; il mondo islamico per un certo tempo si è tenuto in disparte.
Cominciava a sorgere un’ostilità dall’interno stesso della Chiesa, soprattutto sotto la guida di Mons. Marcel Lefèbvre, per il fatto che le nuove dottrine del Concilio, in particolare il concetto della Messa, di Rivelazione, dello stesso papato (la collegialità episcopale), di Chiesa, di ecumenismo, di libertà religiosa e di dialogo interreligioso e con i non-credenti, apparivano a questa corrente false, moderniste e in contrasto con la Sacra Tradizione.
Per converso, i modernisti, che non erano mai del tutto scomparsi, ma si erano mascherati sotto una finta ortodossia, come per esempio i rahneriani o gli scillebexiani, e con astutissima manovra aggirando la buona fede di Giovanni XXIII, erano riusciti a mettere qualcuno dei loro tra i periti del Concilio. Oltre a ciò, valendosi di un’abile propaganda e con un forsennato attivismo degno di miglior causa, riuscirono a convincere larghi strati dell’opinione pubblica – non esclusi certi ambienti dell’episcopato – di essere stati loro i protagonisti del Concilio e quindi presentandosi sfacciatamente come indiscutibili ed indiscussi interpreti del Concilio, nonostante tutte le rettificazioni che vennero nei decenni seguenti da parte dei Pontefici, in modo speciale per mezzo delle condanne, confutazioni e chiarificazioni operate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, soprattutto sotto la guida del card. Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI. I lefevriani quindi non fecero che convincersi maggiormente della loro interpretazione del Concilio mantenendo la loro opposizione basata sull’equivoco.
A partire da Paolo VI cominciò come una tempesta l’opposizione dei modernisti, furbescamente celati sotto l’eufemismo di “progressisti”, onde godere di un innocuo lascia-passare: il Concilio non aveva promosso il progresso o il rinnovamento o la modernizzazione della vita cristiana? Scoppiò così la famosa “contestazione” del 1968. In quell’anno stesso Paolo VI dovette subire un’opposizione generalizzata, persino tra i vescovi, alla sua enciclica Humanae vitae.
Cominciarono a girare impunemente le eresie tra i teologi, sotto colore di libertà e progresso, vescovi latitanti, indisciplina nella liturgia, defezioni di preti e religiosi a migliaia, chiusura di case religiose e conventi, seminari e chiese vuoti, calo delle vocazioni e della frequenza ai sacramenti, diffusione del comunismo, della superstizione e delle sètte nel mondo, crisi della famiglia, caos nelle scuole, diffusione della corruzione nei costumi sessuali e nella condotta politica, aumento della sperequazione tra ricchi e poveri.
I Papi da Paolo VI fino a Benedetto XVI hanno dovuto subire un’opposizione aperta e crescente da parte dei modernisti: Paolo VI era giunto a parlare di “autodemolizione della Chiesa da parte di se stessa”, e di un “magistero parallelo”, Giovanni Paolo II in più occasioni parlò dei mali della Chiesa, Papa Benedetto parlò senza mezzi termini di una crisi generalizzata della fede. Incessante è stata la polemica proveniente dai lefevriani incorreggibilmente ostinati nel ritenere che i Papi del postconcilio, in quanto eredi del Concilio, insegnassero dottrine false e contrarie alla Tradizione.
Mentre i modernisti fingono di essere in comunione col Papa e si considerano le punte avanzate della Chiesa ma in realtà, in forza del loro soggettivismo ne relativizzano gli insegnamenti, i lefevriani, coscienti dell’immutabilità della dottrina della fede e sensibili al carisma dell’infallibilità pontificia, per avere buon gioco nel rimproverare il Papa di falsità dottrinale e rottura con la tradizione, restringono indebitamente le condizioni dell’infallibilità a quelle elencate dal Concilio Vaticano I, valide solo per le definizioni dogmatiche solenni (“ex cathedra”), che in realtà sono pochissime in tutta la storia del Magistero pontificio. Dimenticano o trascurano quindi che il Papa è infallibile, ossia dice il vero definitivo ed immutabile anche quando insegna come maestro della fede o annunciatore del Vangelo in qualunque circostanza, semplice o solenne, ordinaria o straordinaria, anche se non dichiara di voler definire come avviene nei casi previsti dal Vaticano I.
Quanto all’attuale Pontefice, sembra che i modernisti e molti tradizionali nemici della Chiesa, non credenti o credenti di altre religioni, evitino di attaccarlo e che anzi lo gradiscano e che riscuota successo tra di loro, per certe sue posizioni che essi interpretano a loro favorevoli. Non c’è dubbio che se il Papa ha una forte comunicativa e una ricca umanità, essi però tentano slealmente di strumentalizzarlo, cosa che non sono riusciti a fare con i Papi precedenti, i quali o avevano un tono più polemico contro i non-credenti o usavano un linguaggio che meno si prestava all’equivoco. Questo Papa invece sembra più esposto a questa terribile insidia, anche se il buon cattolico non ha nulla da temere, perché il Vicario di Cristo resta comunque infallibile alle condizioni dette, anche se a volte il Papa usa qualche espressione che ha bisogno di essere interpretata.
Ma non c’è bisogno di forzare il senso delle sue parole, perché non è da pensare che il Papa ci inganni o si inganni in materia di fede o di morale. Coloro che i lefevriani chiamano con disprezzo i “normalisti” non sono i modernisti o i mezzi modernisti, ma semplicemente i buoni cattolici i quali vedono che il Papa procede normalmente secondo la norma della fede.
Sono convinto che Papa Bergoglio vuole avviare un dialogo anche con i modernisti, cosa che ai Papi precedenti non è riuscita o non è venuta in mente. Qui sta la vera “rivoluzione” di Papa Francesco, rivoluzione che, se gli riuscirà, i modernisti torneranno o giungeranno alla retta fede e la loro istanza di modernità troverà quella giusta soddisfazione che è promossa dalla retta interpretazione del Concilio.
A differenza di Papa Benedetto sembra invece che Papa Bergoglio abbia perso i contatti con i lefevriani. Forse si è sbilanciato troppo verso i modernisti. Qui occorrerà che ritrovi il dialogo con i lefevriani. Certo la dolorosa vicenda dei Francescani dell’Immacolata non favorisce questo obbiettivo ineludibile, per cui ritengo che il Papa quanto prima debba moderare le scandalose intemperanze di padre Volpi (commissario dei Francescani dell’Immacolata, ndr), che evidentemente gli ha preso la mano, probabilmente sobillato dai rahneriani, certamente furiosi per la forte critica a Rahner che venne dal convegno teologico internazionale organizzato contro Rahner dai Francescani a Firenze nel 2007, convegno dove io stesso presentai una relazione. Gli atti furono poi pubblicati da Cantagalli di Siena.
I Francescani debbono correggersi in alcune cose, in particolare bisogna che essi accettino serenamente tutte le dottrine del Concilio Vaticano II, ma la condotta dittatoriale e crudele di padre Volpi, soprattutto nei confronti del Fondatore, il degnissimo Padre Manelli, offende gravemente la carità e la giustizia e deve assolutamente quanto prima cessare.
L’impresa di Papa Bergoglio di recuperare il buono che c’è nei modernisti è indubbiamente rischiosa e riflette la spericolatezza propria della tradizione ignaziana, ricorda l’atteggiamento di Cristo verso i pubblicani e i peccatori, un atteggiamento che suscita sorpresa e disapprovazione presso i farisei, oggi forse rappresentati dai lefevriani. Ma non mi nascondo che a volte mi viene il dubbio che il Papa sia poco prudente, in questa operazione nei confronti dei modernisti, perché non appare sempre chiaro se egli riesce ad avvicinarli alla Chiesa o sono loro che credono di avere il Papa dalla loro, per cui si sentono autorizzati a continuare nei loro errori e nei loro vizi.
Il Papa sta redarguendo sia i cattolici preconciliari che i modernisti, senza misconoscere lati buoni negli uni e negli altri, per condurli alla sua linea che intende insistere sulla evangelizzazione in sintonia col Concilio. La recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è una summa di tutto il suo programma di pontificato. Non dobbiamo tanto cercarvi della dottrina – è una semplice “esortazione”! – ma una miniera di spunti e di stimoli per la nuova evangelizzazione. In ciò sta il suo pregio ma anche il suo limite, per cui alcuni aspetti, puramente pastorali, potranno anche essere criticabili, appunto non toccando la dottrina evangelica, dove il Papa non può sbagliare.
Si è troppo facili in certi ambienti nel giudicare male il Papa. Se per esempio egli afferma che non si sente di giudicare della buona o cattiva fede di un gay, ecco la stampa laicista esultare credendo che il Papa abbia cambiato la legge morale giudicando lecita l’omosessualità. Se il Papa afferma che occorre sempre seguire la propria coscienza e il proprio punto di vista, ecco i liberali di turno esultare perché finalmente la Chiesa riconoscerebbe che non esiste una verità morale oggettiva ed universale, non esiste un bene morale unico per tutti, ma ciascuno è libero di essere legge a se stesso.
Se il Papa disapprova la rigidezza dottrinale e il fondamentalismo, ecco i lefevriani insorgere nell’accusarlo di essere contro la tradizione e di negare l’oggettività e l’immutabilità della verità e così via. Se egli dice che il proselitismo è una sciocchezza, ecco le accuse roventi di disprezzare la volontà di condurre a Cristo i non-credenti.
Esiste un campo del pensiero e della condotta umana nel quale anche un Papa può sbagliare o non agire bene. E’ bene conoscere questo campo, perché non ci è proibito in linea di principio criticarlo o disapprovare, col dovuto rispetto e per fondati motivi, quanto fa o pensa. Si tratta delle sue opinioni politiche, filosofiche, teologiche o esegetiche, delle sue preferenze o dei suoi gusti personali, della sua condotta morale, degli atti del suo governo, delle scelte della sua pastorale, delle sue decisioni, leggi, disposizioni giuridiche o liturgiche, dell’assunzione o del congedo di personale della Curia Romana o delle rappresentanze pontificie nel mondo, e cose del genere.
Invece per quanto riguarda la sua missione di Successore di Pietro e Maestro della fede, senza giungere a parlare delle definizioni dogmatiche, il Pontefice è sempre infallibile e va sempre obbedito e non ci è lecito accusarlo di errore o di eresia, come fa chi oggi lo accusa di modernismo, indifferentismo o soggettivismo o relativismo. Qui si tratta solo di capire fedelmente il suo insegnamento o eventualmente di interpretare, se occorre, in un senso benevolo, se si vuole essere sul sentiero della verità, del bene e della salvezza.