“Combattiamo per non sparire. Siamo tornati alle catacombe”
Tra i cristiani della Siria in prima linea. “Finiti i tempi in cui l’Isis poteva farci ciò che voleva: noi non amiamo le armi, ma qui è diventata una vera questione di vita o di morte”
da Qamishli (Siria)
Il fuoristrada blocca l’entrata della strade. Le porte della chiesa di Santa vergine Maria si aprono, la mitragliatrice sul cassone inquadra le case e sul lato opposto.
Una folla di scolari con cartelle e grembiulini invade il marciapiede, salta in braccio a madre e padri in attesa. I miliziani in mimetica girano le spalle alla folla, sorvegliano l’abitato, tengono sotto tiro le vie circostanti, bloccano il traffico. Siamo a Qamishli, mezzogiorno è passato da poco, e i miliziani di Suttoro sono di nuovo all’opera.
«In siriaco, la nostra antica lingua, Suttoro significa protezione. Proteggere è il nostro compito e qui vedete perché. Accanto a questa chiesa ci sono le nostre scuole, le scuole cristiane. Qui studiano i nostri figli e questo per l’Isis sarebbe un obbiettivo perfetto. Per questo ogni giorno chiudiamo la strada, interrompiamo la circolazione, non facciamo passare nessuno fino a quando l’ultimo bimbo non ha abbracciato i suoi genitori», racconta Dani Shimun.
Fino a un anno e mezzo fa Dani non si sognava neppure di vestire la divisa. O almeno non questa divisa. Fino a 18 mesi fa campava organizzando balli tradizionali, girando per teatri e luoghi di ritrovo. Ora è tutto finito. Per Dani e per i cristiani siriaci di Qamishli è tornato il tempo delle catacombe, il tempo delle persecuzioni. La situazione di Qamishli – all’estremo nord est della Siria – ricalca in parte quella di Kobane, la città curda sul confine turco assediata dallo Stato Islamico. Anche qui Ankara sbarra con reticolati e carri armati la frontiera distante non più di un chilometro dal centro città. E anche qui, a seicento chilometri da Damasco e ad appena novanta dal confine iracheno, il terrore è alle porte. La prima linea dello Stato Islamico passa per il villaggio di Tell Hamis, quindici chilometri più a sud. Tutt’intorno villaggi distrutti, case abbandonate e capisaldi di milizie curde arrivate come a Kobane a fronteggiare i folli della jihad. «Fino ad un anno e mezzo fa mancava però qualcuno capace di proteggere noi cristiani – ricorda Dani -.
VIDEO CORRELATI
Eravamo soli, abbandonati ed indifesi. L’Isis poteva razziare i raccolti dei nostri contadini, rapire i nostri giovani per ucciderli o esigere riscatti dalle famiglie.
Tutto questo ha innescato un vero esodo. E per mettere un argine a tutto questo è nata Suttoro».
Ma Suttoro – come spiega Dani che nel frattempo ne è diventato il numero due – non basta a fermare l’emorragia. «Prima del 2011 qui eravamo il dieci per cento, 40mila cristiani su 400mila abitanti. Non molto se si pensa che i curdi sono il 30 per cento e gli arabi fanno il resto, ma vivevamo bene. Oggi è l’inferno. I curdi hanno fatto un accordo con il governo siriano e combattono da soli i terroristi provenienti da Turchia e Iraq. In mezzo siamo rimasti noi. Senza armi e senza milizie rischiavamo di far la fine dei cristiani di Mosul. Per questo è nata Suttoro». Ma dietro Suttoro, fa capire Sargon Ibrahim, capo e fondatore della milizia, c’è anche una raffinata operazione politica di Damasco. «I cristiani siriaci erano tradizionalmente divisi, all’inizio della cosiddetta “rivoluzione” molti di noi stavano con i ribelli. La nascita di una milizia capace di proteggere chi non vuole abbandonare queste terre ci garantisce appoggi e consensi». E naturalmente, anche se Sargon non lo dice, il governo e le varie chiese fedeli a Damasco non hanno esitato a fornirgli il denaro e gli strumenti indispensabili per trasformare una semplice associazione di autodifesa in una milizia ben strutturata. «Nel 2011 avevamo fondato Pace Popolare, ma era una semplice associazione con cui fornivamo assistenza economica alle famiglie più povere, il gran passo l’abbiamo fatto un anno e mezzo fa quando abbiamo avuto il permesso di armarci, arruolare volontari e addestrarli».
Oggi il fulcro di questo gruppo armato, il cui nocciolo duro è formato da circa quattrocento armati è l’«Accademia», un centro di addestramento costruito appena fuori da Hader Al Sirian, il quartiere siriaco. Qui i militanti di Suttoro si addestrano. Qui ogni settimana si presentano un centinaio di nuove reclute. Allineati lungo le pareti della grande sala centrale ascoltano Dani Shimun che spiega loro cosa li aspetta. «Non tutti di voi verranno presi e non tutti di quelli presi resteranno. Ma chi resterà consegnerà il suo corpo e la sua anima alla comunità. I cristiani non amano le armi, ma oggi è questione di vita o morte. Da Suttoro e dalla vostra forza d’animo dipende il destino di tutti noi. Se combatterete e vi sacrificherete sopravvivremo. Altrimenti scompariremo».