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L’imprevisto è la sola speranza di Robi Ronza
Che a nostro avviso il “cattolicesimo democratico” – di cui il nuovo presidente della Repubblica è un esponente di grande rilievo – sia un disastroso equivoco tanto per la fede quanto per la democrazia l’abbiamo già scritto, e non staremo qui a spiegarlo un’altra volta.
A questo punto il presidente è lui. Quindi non c’è altro da fare se non impegnarsi, ciascuno nei propri limiti e con la propria vocazione, a testimoniargli che ci sono più stelle in cielo che nella sua filosofia. Con Renzi e con Mattarella si compie un processo di vanificazione della presenza consapevole dei cristiani nella vita pubblica del nostro Paese che paradossalmente va di pari passo con l’affermarsi ai più alti livelli di persone di fede e di retti costumi, fedeli alla messa domenicale (una notizia normalmente ignorata ai tempi della Democrazia Cristiana e che invece oggi i media si precipitano a farci sapere), padri e madri di famiglie numerose e unite.
Beninteso, la situazione non presenta grandi alternative. Non è stato perfidamente lasciato fuori nessuno che sarebbe stato meglio. Nel campo opposto lo sbando è totale ai più diversi livelli. Solo questo spiega perché un popolo che è in maggioranza cattolico-popolare e liberale abbia finito per essere governato da forze di matrice post-giacobina. E non nascondiamoci che tutto ciò non è una congiura bensì l’esito inevitabile dell’incapacità che i leader del campo opposto hanno dimostrato di usare il largo consenso raccolto per fare le profonde riforme di struttura che ci si attendevano da loro.
Adesso siamo qui a pagare il conto, sperando sia meno salato di quanto ci si dovrebbe aspettare. Sono queste le riflessioni che mi sono venute alla mente mentre ascoltavo il messaggio di insediamento con cui il nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dato inizio al proprio mandato settennale. Il messaggio (accessibile per intero a chiunque sul sito della presidenza della Repubblica, clicca qui) non è stato altro se non quello che ci si poteva attendere.
Significativo al riguardo il tema cruciale della famiglia. Da un lato vi si afferma che garantire la Costituzione «significa sostenere la famiglia, risorsa della società». Dall’altro lato però poco dopo vi si aggiunge che «Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva». I promotori dei due disegni di legge sulle unioni civili e sul divorzio breve, che sono attualmente all’esame del Parlamento, hanno con buoni motivi immediatamente colto tale passaggio come un autorevole incoraggiamento alla loro iniziativa.
La maggioranza di governo e per le riforme (PD, FI, NCD) non basterebbe, ma quella invece più ampia che ha eletto Mattarella ne ha i numeri. Il Nuovo Centro Destra, NCD, di Angelino Alfano, l’unica forza compattamente contraria, viene perciò messo sotto stretto assedio da due parti: sia dall’interno della maggioranza di governo, dove Renzi gli sta voltando le spalle, e sia dall’area di centro destra, dove Matteo Salvini gli sbarra la porta proponendo a Berlusconi la nuova Lega Nord in formato “nazionale” come suo futuro alleato al posto appunto dell’NCD.
È poi molto sintomatico il passaggio in cui Mattarella definisce «significativo» che egli sia divenuto presidente della Repubblica «mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione». Con questa frase egli accredita un processo di riforma che va a modificare non il solo Senato, come si è continuato a dire, bensì l’intera struttura della Repubblica riportandola in sostanza al centralismo prefettizio che caratterizzava il vecchio Regno d’Italia di prima del fascismo. Non è affatto una riforma bensì un’ampia contro-riforma. Viceversa non tocca la prima parte, continuando ad accreditare l’equivoco che si tratti di una specie di decalogo. E così tra l’altro non rimedia al colpo di mano con cui venne reso impossibile l’esercizio della libertà d’educazione, la riscoperta della quale sarebbe oggi un motore decisivo della rinascita del Paese.
La stucchevole cornice tardo-ottocentesca di Montecitorio – che basta già da sola a far risaltare la modesta origine dello Stato italiano e la sua sin qui purtroppo confermata incapacità di diventare qualcosa di meglio – aiutava ieri a ricordarsi che lo Stato di cui Mattarella si pone a presidio è molto più lo Stato, ossia il potere centrale burocratico ancora prima che politico, che la Repubblica la quale, a norma dell’art.114 della Costituzione vigente, è una realtà organica plurima «costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
Nel suo messaggio d’insediamento non c’è alcun articolato cenno né alle autonomie, né al ruolo dei soggetti sociali. Tipicamente fedele in questo alla sua ispirazione “cattolica democratica” egli trasferisce sullo Stato quella speranza totale che c’è motivo di avere verso la Chiesa, ma solo perché non pretende di avere ricette per le nostre scelte temporali e soprattutto perché non è opera nostra. È questo il presidente che il nostro Paese avrà nei prossimi sette anni. Perciò, diremo citando Montale, «l’imprevisto è la sola speranza».