“Caro sig. Presidente, in questi giorni in cui mi sento bombardata da messaggi promozionali a favore dell’approvazione della legge sulle unioni civili fra persone dello stesso sesso, nasce in me non solo il desiderio, ma soprattutto la necessità di scriverle, per dire alcune cose che le televisioni , i giornali, le trasmissioni radiofoniche non dicono.
Si parla molto di diritti, di uguaglianza, di voler abbattere la discriminazione e questi sono valori fondamentali della persona umana, innegabili e irrinunciabili, degni di qualunque sacrificio e di qualunque combattimento, per farli valere e affermare.
E questa mia lettera mira esattamente a questo, a chiedere a Lei ed ai suoi colleghi di approfondire la questione per arrivare a una giusta estensione di tali diritti, e a un giusto esercizio di tali uguaglianze, per non rischiare, pur volendo perseguire il miglior bene della società, di apportarle invece un danno.
Il diritto primario fondamentale e irrinunciabile di ognuno di noi è quello di essere amato. Ma che cosa è l’amore? In che modo Lei ama, come Lei desidera nel suo intimo di essere amato? Come Lei trasmette ai suoi figli il valore dell’amore?
Le chiedo di prendersi qualche ora per riflettere a fondo su questa domanda, che sembra ovvia e banale, ma che è il fondamento stesso dell’essenza dell’uomo.
Cosa insegna ai suoi figli? Cogli l’attimo? Vai dove ti porta il cuore? Vivi la storia che ti capita senza esitare, qualunque essa sia, purché tu la desideri?
O piuttosto Lei cerca, anche con l’esempio, di insegnare loro che l’Amore va ben al di là della mera emozione, che dura un attimo e presto svanisce. L’Amore, quello che riempie, sazia e dà pace, è il dono di sé. E’ dare senza chiedere niente in cambio, senza giudicare, è l’ago della bilancia tutto spostato da una sola parte, è morire un poco per dare spazio ad un altro. E se parliamo del matrimonio, Amare non è solo trovare un punto di equilibrio, o fare una buona società al 50%, in cui i due coniugi ritagliano ciascuno i propri spazi cercando di trovare fra essi un accettabile compromesso, ma è una fusione incondizionata e totale di due persone, del loro corpo ma anche della loro anima, due cose che diventano tra loro inscindibili. Questa fusione comporta inevitabilmente di morire per l’altro, giorno dopo giorno, per far nascere una nuova creatura che è l’unione coniugale. Questo dare la vita si sublima infine nell’atto coniugale attraverso il quale i coniugi danno la vita letteralmente, aprendosi alla generazione dei figli e cooperando all’opera meravigliosa della Creazione. Questa non è una teoria, ma la consapevolezza a cui la mia esperienza di vita concreta mi ha portato e vorrei tanto che questo fosse il diritto per cui lottare: poter insegnare a mio figlio che anche per lui è aperta questa strada, che anche lui può guardare in alto, oltre se stesso, ed aspirare a questa altezza e a questa profondità, a questo Amore che travalica tutti i limiti dell’umano.
Beh, dirà a questo punto, che cosa c’entra questo con il matrimonio fra due persone dello stesso sesso?
Caro sig. Presidente c’entra e come.
Perché in fondo Lei che cosa sta facendo?
Sta insegnando a mio figlio, che no, non importa puntare così in alto, aspirare ad una piena di maturazione di sé, che ci si può anche accontentare, tanto è lo stesso.
Perché vede, raccontando a mio figlio, e a tanti ragazzi come lui, che non c’è differenza fra l’unione tra due persone dello stesso sesso e quella tra un uomo e una donna, Lei li inganna. Racconta loro delle bugie.
Perché nell’amore fra due persone dello stesso sesso viene a mancare l’Altro, l’alterità delle persone. Ed è inutile raccontare che l’alterità si manifesta al di là del corpo, quando l’amore sponsale è così fortemente corporeo. Negare il ruolo della differenza tra i sessi, vuol dire mandare tanti ragazzi a sbattere duramente contro un muro che, con la legge Cirinnà si rende loro invisibile.
Lo so benissimo signor Presidente che a volte dire la verità è una strada così scomoda e dolorosa che preferiamo evitare di prendere posizione, per la paura di ferire e di far soffrire. Tante volte ho sperimentato questa paura, ma poi ho pensato: quali frutti si raccoglieranno da bugie e falsità?
Eppoi vorrei soffermarmi sulla non discriminazione e sul principio dell’uguaglianza. E’ giusto secondo Lei non discriminare? Il vocabolario attesta che questo termine significa “distinguere, differenziare, specialmente in base a dati oggettivi”. Credo sia una delle azioni fondamentali da insegnare ai nostri figli, il saper distinguere, il saper discernere, fra tutto ciò che ci si presenta davanti ogni giorno, in quanto è vero, sì, che molto può essere lecito, ma è altrettanto vero che non tutto giova.
E notare quali siano le differenze che connotano una cosa o una situazione rispetto ad un’altra non credo sia una mancanza di giustizia, ma semplicemente un fare i conti con la realtà, oltreché avere una opportunità preziosa di valorizzare le differenze, anziché annullarle; affinché ogni cosa possa svilupparsi appieno secondo le proprie caratteristiche e possibilità.
E’ giustizia secondo Lei trattare allo stesso modo due cose non omogenee tra loro? E’ giusto secondo Lei tassare nella stessa misura l’operaio, con famiglia numerosa a carico e il ricco imprenditore dal reddito a sei zeri o single? A Lei sembra equo non distinguere, ovvero non discriminare, una famiglia con moglie e marito che ha in sé il potenziale (e il carico) di creare nuove generazioni e una coppia intrinsecamente sterile qual è la coppia omosessuale? Non ritiene sia importante distinguerle per vivere con maggior consapevolezza e maturità?
Cosa sta facendo invece lei, sig. Presidente?
Sta insegnando a mio figlio che è meglio smettere di ragionare sulle cose, non scrutarle e approfondirle, che è meglio appiattire tutto, perché tutto è indifferente, così che alla fine niente avrà più sapore.
Le parlo da madre, sig. Presidente, e mi creda anche io qualche anno fa mi sono trovata di fronte ad una scelta. Se, di fronte alla confessione di mio figlio di provare attrazione per persone del suo stesso sesso, alzare un muro e non farmi toccare, oppure lasciarmi travolgere dalla sofferenza.
Sì, sig. Presidente, voglio parlarle di sofferenza. Perché non si lasci ingannare da qualche genitore che nega di provare dolore di fronte a una tale situazione. Quando ho capito quello che mio figlio mi stava dicendo, e le confesso che mi ci è voluto qualche giorno per far sì che il mio cervello traducesse quelle parole, sono sprofondata in un abisso di dolore.
Le assicuro che la causa di questo dolore non è stata provocata dalla cosiddetta omofobia interiorizzata, o da altre stupidaggini di cui continuamente si parla senza averne esperienza concreta.
Invece la mia mente mi ha ricollegato a tutta una serie di episodi di cui è costellata la mia storia e quella della mia famiglia, e mi è apparsa davanti la sofferenza di mio figlio in tutta la sua drammaticità: un bambino prima, un ragazzo poi, che, per la sua indole estremamente sensibile, è stato segnato da ferite affettive inferte non volendo da noi genitori, dagli amici, dagli insegnanti, da abitudini prese, e, insieme, dal contesto sociale.
Improvvisamente ho visto come queste ferite procuravano anche, oltre all’attrazione che le dicevo, sofferenze di altro tipo: la paura di vivere e quindi il trincerarsi dietro il filtro di un computer, l’incapacità di intrecciare legami di amicizia con altri maschi, il rifiuto di praticare sport e di competere con i propri pari, una immaturità emotiva nel sopportare situazioni di tensione, l’impossibilità di perseguire con convinzione un obiettivo, la barriera difensiva alzata verso il proprio padre.
Ecco sig. Presidente certamente sarebbe stato meno doloroso di fronte alle parole di mio figlio pensare: Che problema c’è? Va bene così, basta accettare questa nuova situazione, così va il mondo e tutto si sistemerà.
Sarebbe stato estremamente più facile rispondere “fai quello che ti senti!” E cercare di non vedere tutta questa sofferenza mettendo a tacere il mio bisogno di approfondire.
Ma questo sarebbe amare secondo lei? Amare un figlio è accettare e sempre approvare le sue scelte? Nel notare questa ferita aperta, lei avrebbe scelto semplicemente di metterci sopra un cerotto e nasconderla alla vista?
Io in tutta sincerità non ho potuto fare questo, sig. Presidente.
Ho scelto di lasciarmi invadere dalla sofferenza, perché ho provato tante volte che sulla croce spira una brezza soave che rende leggero il peso, e che feconda ciò che investe e sono certa che da essa può rinascere una vita nuova, per me e per i miei familiari.
Mi è sembrato di aiutare mio figlio nell’Accogliere senza Approvare, nell’amare la sua persona, senza fare miei i suoi errori, senza rinnegare i miei valori. Ascoltare di più e parlare di meno, questa è la strada che ho scelto, nell’umiltà di riconoscere i propri limiti ed errori, ma sempre ricordandomi il mio ruolo di genitore e di educatore.
Spero che Lei, sig. Presidente, rimarrà sempre consapevole del suo ruolo, non quello di assecondare i desideri, magari con leggi dal facile consenso perché alla moda, ma quello ben più alto di perseguire il bene comune.
Con affetto
Una madre”