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Perché non ci entusiasma che il Family Day diventi un partito
Si rischia il bagno di sangue. Consigliamo vivamente di surgelare il logo, rinunciare al partito e mettersi a disposizione della politica in maniera fantasiosa e plurale
Giù a Roma hanno brevettato un marchio e hanno fatto del Family Day il partito del “Popolo della famiglia”. Ci permettiamo di rimanere poco entusiasti della trovata che forse covava da tempo nel campo degli organizzatori del Circo Massimo.
Perché l’idea di un nuovo partito non ci entusiasma? Primo, perché non si sentiva la mancanza di una formazione politica specializzata in “famiglia”. La famiglia è la vita della gente, non è un logo da brevettare per un’avventura politica personale.
Secondo, ne abbiamo parlato con Mario Adinolfi, lui sa che lo stimiamo e che lo vedremmo bene candidato al comune di Roma. E possibilmente assessore in una giunta che naturalmente non potrebbe essere espressione di quella sinistra che ha appena battezzato la via alla disgregazione mentale e sociale sulla base del capriccio individuale che si fa “diritto”.
Però, non è la stessa cosa fare un partito e fare un movimento. Non è intelligente sognare una ricomposizione cattolica su base partitica e per di più sfruttando la gratuità di un fenomeno come il Family Day. D’accordo, senza gli Adinolfi e le Miriano, senza Gandolfini e, sopratutto, senza l’impegno di certi movimenti, in particolare, del movimento fondato da Kiko Arguello, il Circo Massimo non ci sarebbe stato.
Però, di lì a pensare che questo avvenimento possa essere trasformato in partito, ce ne passa. Innanzitutto, si rischia il bagno di sangue. Fuor di metafora, la sconfitta che condanna all’irrilevanza. E di conseguenza si rischia l’umiliazione dell’avvenimento di popolo. E in secondo luogo, un conto è assecondare la propria vocazione – per esempio Adinolfi è tra i fondatori del Pd, la politica è la sua passione, ha il pedigree del grande oratore – un altro è prendere la generosità della gente e pretendere di portarla in una fattoria specializzata in prodotti Voglio la mamma.
Non siamo i quaccheri, puritani della famiglia formato Mulino Bianco. E non definiamo la realtà, la nostra identità, le nostre buone ragioni, in opposizione alle maschere di irrazionalità e prepotenza nietzschiana che adesso vorrebbero vestire di Mulino Bianco la grottesca e disumana ideologia arcobaleno. Non siamo il moralismo “tradizionale” contro il moralismo “postmoderno”. Semplicemente, ci interessa il mondo comune, ci interessa che i bambini non diventino vittime di esperimenti sociali violenti, ci interessa montare la guardia alla libertà delle persone di perseguire la felicità senza calpestare il diritto e la dignità umana delle donne e dei bambini.
All’egoismo sterminato che si pretende legge e che ha inaugurato la tratta dei nuovi schiavi in utero e in laboratorio, non si contrappone un partito. Si prosegue a dare corpo a un movimento di testimonianza propositiva all’umanità reale e di opposizione radicale all’ideologia postumana. “Movimento” vuol dire “dare inizio a qualcosa” anche se non sappiamo cosa. Vuol dire privilegiare la vita al progetto. Vuol dire andare avanti negli incontri, nello sviluppo di iniziative, giornali, storie, frequentazioni. E chissà cosa salterà fuori. Ma intanto si cerca di vivere all’altezza di certe ragioni.
E la politica? Dovremmo forse escluderla da questo orizzonte “movimentista”? Certo che no. Ovvio che c’è solo da augurarsi che ci sia gente disposta a impegnarsi nei partiti e, prospettandosi le amministrative di primavera, a presentarsi alla comunali portando programmi al servizio delle famiglie e amministrandoli, questi programmi, là dove si vincesse, dai pulpiti di municipi di paesi e città. Possibilmente bisognerebbe arrivare alle politiche forti di queste esperienze amministrative. Ma non si va da soli. Può essere generoso. Ma è un errore.
Il punto dell’errore è questo: con il brevetto del partito unico del Popolo della famiglia, imboccate la strada dell’obbligo di ottenere un risultato politico. Vi tocca piegare un avvenimento non calcolato nel calcolo di un certo numero di voti. Nella piena solitudine politica. E se la solitudine politica non bastasse, come noi pensiamo non basterà? E se i voti non fossero sufficienti a esprimere una rappresentanza che abbia una qualche incidenza, come noi pensiamo succederà? I fondatori del partito unico della famiglia si prenderebbero di conseguenza la responsabilità di aver contribuito alla sconfitta politica “di quelli del Circo Massimo”.
E questo non va bene. Perciò, da parte nostra consigliamo vivamente di surgelare il logo, rinunciare al partito e mettersi a disposizione della politica in maniera fantasiosa e plurale. Ci sono praterie che si aprono per chi ha idee e proposte da Family Day in amministrazioni cittadine che hanno cancellato il soggetto sociale famiglia per concentrarsi sui diritti individuali, muovendo guerra al senso di comunità, ai bisogni primari, alle aspettative elementari di una comunità.
Perché non entrare nei partiti, come già si entra nelle scuole, negli incontri pubblici in paesi e città, nelle librerie e nelle edicole con saggi e giornali, in rete con i blog armati di spirito controcorrente, di informazione corretta e cultura che nasce dall’esperienza piuttosto che dalle astrazioni, invece che escogitare il partito dei partiti? Perché scegliere il ghetto invece dell’orizzonte?
Foto Ansa