L’INTERVISTA DI LUCA TELESE
Bertinotti si confessa a “Libero”: “Non sono più comunista e vi spiego perché ho scelto”
Presidente Bertinotti, lei ha stupito tutti con l’intervista al Corsera in cui ha rivelato la sua apertura verso Comunione e Liberazione.
«Su questo punto non ho da aggiungere nulla, ho già detto».
Sembra seccato.
«Ho raccontato di aver trovato in Cl molto di più e di diverso di quel che mi aspettavo, in primo luogo il suo popolo».
L’ha stupita il popolo di Cielle?
«Guardi, non aggiungo altro: ho subito un’offensiva mediatica e una campagna di strumentalizzazione. Sono abituato. Ho ricordato che per Gramsci l’intellettuale può rappresentare il popolo solo se ha con lui “una connessione sentimentale”. Questo sentimento, tra loro, l’ho trovato».
Però la sento arrabbiata.
«Anche lo scontro politico più duro dovrebbe partire dai fatti, e non dalle invettive. Ma lasciamo perdere. Io dico cose sgradevoli per la destra e per la sinistra, ne sono consapevole».
Ad esempio?
«Sostengo che la storia politica nata col movimento operaio del Novecento si è esaurita».
E a chi dà fastidio?
«A molti: è un terreno di lotta politica a sinistra».
Ma perché ci tiene così tanto a sottolinearlo proprio lei che ha lavorato per venti anni alla Rifondazione del comunismo?
«Mi interessa costruire. Se non si prende atto dolorosamente di una sconfitta irrevocabile della sinistra storica non si può riprendere il cammino, in nessuna direzione».
E chi altro scontenta?
«Ovviamente la sinistra liberista. Ormai, a tenere alto il livello di criticità contro la dittatura del mercato è rimasta, praticamente sola, la Chiesa di Papa Francesco».
È un Fausto Bertinotti che stupisce. L’ex presidente della Camera non ha mai smesso il suo lavoro di riflessione sulla sua rivista, Alternative per il Socialismo. Però un conto è il passo del saggista, un altro sono le sue opinioni contundenti, spesso spiazzanti, e le sue uscite pubbliche. Oggi Bertinotti si dedica soltanto alla ricerca intellettuale, ma le sue posizioni sono più radicali di quando – una vita fa – era un leader politico. «La democrazia rappresentativa, in Occidente – sostiene oggi – non esiste più. È stata disarticolata, svuotata di ogni significato».
Bertinotti, se un compagno di Rifondazione la sentisse elogiare Cielle, dichiarare esaurita la storia del movimento operaio, o che la democrazia è finita dubiterebbe di lei.
«Io dico che a sinistra le piste sono esaurite: le due anime che conosciamo non hanno più nulla da dire».
Quali piste?
«Sia l’anima nuovista che quella che si rifugia nella tutela identitaria come se nulla fosse accaduto».
I “nuovisti” sono i socialdemocratici e i renziani del Pd?
«Sono quelli che io considero letteralmente trascinati – nel mio linguaggio – dal nuovo capitalismo».
Ci sono esperienze che lei trova molto interessanti, in Europa?
«Sì: quelle di chi si mette sul terreno del nuovo, senza rapporti con la storia del Novecento: Siryza e Podemos sono esperienze estranee alla storia del movimento operaio».
Podemos non è di sinistra?
«Non la definisco una formazione di sinistra. Vale quello che dice il suo leader Pablo Iglesias: “Io sono gramsciano, di sinistra. Il mio partito no”».
Cosa vede di nuovo in Europa?
«Sono vive solo le formazioni politiche che interpretano il conflitto fra l’alto e il basso».
I populismi?
«I cosiddetti populismi nascono dalla contesa tra alto e basso, poveri e ricchi. Ci sono anche quelli di tipo trasversale, come Grillo. Ma sia a destra che a sinistra il nodo è questo. Podemos e Syriza sono un esempio clamoroso di popolo contro le élite».
Lei considera élite, indistintamente, sia la Merkel che Hollande?
«Sì. Le élite di sinistra sono più inclusive di quelle liberiste, ma entrambe individuano la critica al mercato come una critica alla modernità».
Da qui il suo avvicinamento alle correnti critiche che nascono all’interno della Chiesa?
«“Laudato sii” è una lettura preziosa per capire questo tempo, riconoscendo al Pontefice la sua autonomia dalla politica e il suo carisma».
Qual è il discrimine, per lei, se non è più quello tra destra e sinistra tradizionale?
«Semplice: tra chi è per l’inclusione e per l’eguaglianza e chi invece è per l’esclusione e per la disuguaglianza».
In questo campo lei mette tutte le sinistre socialdemocratiche?
«In Europa si è strutturato un soggetto nuovo e sovranazionale che ha come obiettivo la conservazione degli attuali rapporti di forza, l’idea di far pagare la crisi ai più poveri».
Chi fa parte di questo soggetto?
«Un soggetto che chiamo, molto semplicemente, governo. Non importano le facce, i leader: quelle passano. Il governo resta e persegue i suoi obiettivi di stabilizzazione del sistema».
E come fa?
«Questi tempi hanno partorito una filosofia politica – la “governamentabilità” – e una pratica politica, la “governabilità”. Parliamo dell’Italia e delle politiche economiche: non vedo sostanziali differenze tra Monti, Letta e Renzi».
Se fosse così votare sarebbe inutile!
«E infatti si inventano parole complesse per definire un fenomeno semplice. Si parla di “democrazia funzionale” o “democrazia autoritaria”. Ma l’essenza è che non c’è più democrazia, possibilità di cambiare direzione alle politiche dei governi per effetto della volontà popolare».
Mi faccia un esempio.
«Io le ho parlato di élite, ma potremmo dire: oligarchie. Prenda Renzi, Monti, Valls, Hollande e Merkel, le istituzioni europee, il fondo monetario. Fanno tutti, in modo diverso, una cosa sola: austerità».
Cos’è? Bilderberg? La Spectre?
«Nulla di misterioso, complottistico o segreto: è sotto gli occhi dei cittadini. Questi leader fanno parte di un sovragoverno: banche centrali, esecutivi, istituzioni internazionali».
Ma sono paesi diversissimi fra di loro, spesso in conflitto!
«Oggi Le Monde parla del ministro del tesoro francese che ha come idea cardine il superamento della differenza tra gauche e droite. Non lo sentiamo in Italia da dieci anni?».
Anche in altri paesi.
«La Merkel infatti c’è riuscita a tal punto che governa con i socialdemocratici che per molti versi sono alla sua destra».
Addirittura.
«Sulla vicenda greca è stato così. Nella sostanza il governo dell’Europa è questo: Verdini e il Partito della Nazione sono variabili nazionali pittoresche e quasi trascurabili».
Facciamo un altro esempio.
«In Francia i socialisti godono di un monocolore in parlamento e non hanno bisogno nemmeno di escamotage come Ncd o Ala».
Già.
«Ma dopo tre anni precipitano dal 49% al 12% e Hollande non arriva al ballottaggio. Quello che determina il corso della politica è la governabilità. Se si sostituisce Hollande si cerca di fare in modo che nulla cambi negli equilibri e nelle politiche».
Facciamo un altro esempio.
«Nessuno ha dissentito quando si è trattato di strangolare il governo greco. I presunti leader di sinistra, se possibile, sono stati i più subalterni e feroci. Oggi, che si prepara un nuovo giro di vite, nessuno protesta.
Perché?
«Semplice: perché l’austerità mina il consenso, lo divora. Annichilisce i sorrisi e l’ottimismo dei premier. Dopo un anno o due sono già da buttare, e si prepara una nuova operazione di camuffamento».
Così è sicuro che la governabilità tenga?
«Per nulla. Infatti si procede verso una progressiva riforma delle istituzioni, una democrazia neo autoritaria».
Riesce?
«L’altro escamotage è questo: determinare e accentuare un conflitto politico con forze che non possono governare. Così connotate in senso radicale che nel momento della sfida per il governo è impossibile che vincano».
Esempio?
«In Italia è facile, Grillo. Ma anche Farage in Gran Bretagna».
Lei non cita la Le Pen
«È un fenomeno di populismo più complesso, più strutturato, viene da una tradizione politica solida».
È uno scenario apocalittico.
«Il flusso della governabilità è stabile, ma le società sono impoverite ed instabili: i banchieri centrali tengono le redini perché sono i sacerdoti di questa economia perdente, ma ancora capace di incantare i credenti».
La governabilità, come la chiama lei, non si può battere?
«Non lo penso. Ma dopo sette anni di crisi, non è accaduto. La nuova Conventio ad escludendum, come accadeva per il Pci degli anni Settanta, dice che non può esserci un governo diverso. Se cade questo ce n’è sempre un altro, e magari un presidente che nel momento di crisi non fa votare».
Lei pensa che ci sia un leader in cui questa politica si identifica?
«Il vecchio Marx diceva: se guardi il singolo capitalista, non capisci il capitalismo. Guarda l’intero fenomeno, in modo scientifico, e lo vedrai».
Noto quasi ammirazione in lei.
«Non ammirazione, ma osservo: nessun altro sistema di consenso avrebbe retto ad un crollo così drastico di ricchezza. Ad una sottrazione di risorse così ampia per i popoli».
C’è ancora speranza di cambiare.
«Ricordo una storica citazione di uno dei miei maestri, Riccardo Lombardi: “Guardate l’indice di disoccupazione. Se finisce sopra il 10% la democrazia è a rischio”».
Bella, ma siamo oltre il 10%.
«Nella prima repubblica era così. Ma la profezia di Lombardi si è avverata. Infatti le regole di gioco sono cambiate».
Quali?
«Quelle fondamentali. La democrazia l’hanno già uccisa. Ne discutiamo come se esistesse ancora».
Cosa cambia?
«Nel tempo della governabilità la coppia giusto-sbagliato viene sostituita da funzionale-non funzionale».
Cosa conta ora?
«Se le regole danno noia ai manovratori cambia le regole. Non a caso il dibattito ci dice che serve un ministro delle Finanze unico, un ministro della Difesa unico, un governo dei governi unico. C’è chi teorizza di non votare per periodi di emergenza economica. Il sistema attuale è irriformabile».
Questo è nichilismo cosmico!
«La speranza di riforma può arrivare solo da fuori dal recinto. Solo dai barbari oggi esclusi!».
Ha simpatia per i barbari, ora?
«Oh, certo. Machiavelli considerava Roma superiore alle altre civiltà perché ammetteva la rivolta e si rigenerava attraverso di essa. La rivolta reintroduceva nel sistema le forze escluse».
Dove le vede queste possibili rivolte?
«Nelle forme inedite dei movimenti sociali. Lei sorride: ma gli Indignandos spagnoli hanno partorito Podemos e Occupy Wall street: Bernie Sanders».
Ma non sono forme vincenti.
«Per ora. Oggi studio le esperienze di auto-produzioni, di mutuo soccorso. Quello che chiamo il sottobosco».
Facciamo un altro esempio.
«Leggo su Repubblica che i vaucher aiutano il sommerso. Il vaucher è lo strumento di un nuovo caporalato. Di nuovo le regole stravolte: la legge legalizza l’illegalità. In Francia la nuova legge sul lavoro è una fotocopia del Jobs act».
Sa già da dove arriveranno i barbari?
«La nuova sinistra non nascerà da una costola della vecchia: finché vive il movimento operaio il nuovo nasce sempre per “spirito di scissione”. Ovvero: tornare alle ragioni originarie per sanare un tradimento».
E oggi?
«Non c’è più nulla da cui scindersi. Tu sei un’altra storia, non hai più una casa dove tornare».
Bertinotti, lei cosa vota?
«Riconosco che risponderò con un trucco: “Sono un militante comunista. Non ho nulla da dichiarare”».
Non vota più?
«Voto per scegliere il meno peggio. Per governare la città. Ma non credo che la rinascita della sinistra passi per una campagna elettorale».
intervista di Luca Telese