ESISTE ANCORA L’ITALIA INDIPENDENTE E SOVRANA?
C’è qualcosa di patetico nella sollevazione in corso in tutta Italia sull’accorpamento delle province. Monza non vuole essere provincia di Milano, Prato non vuole farsi inglobare da Firenze, Treviso da Padova, Pisa dall’odiata Livorno, Mantova non vuole essere accorpata a Cremona, come Avellino a Benevento.
E così dalle Alpi a Ragusa tutti reclam
ano la loro indipendenza e dilaga la rivolta dei campanili.
Perché è una rivolta patetica? Perché nessuno ha ancora detto agli italiani che l’Italia stessa è diventata “provincia”. Di una capitale e di capitali stranieri.
Significa che abbiamo sostanzialmente perso la nostra sovranità nazionale e proprio in coincidenza con le celebrazioni del 150° anniversario della nascita dello Stato italiano.
Questa verità, amara e drammatica, non è ancora stata detta con chiarezza agli italiani. In compenso Mario Draghi, Presidente della Banca centrale europea, l’ha rivelata ai tedeschi. Con parole inequivocabili che per noi italiani suonano scioccanti.
Mentre in Italia tutti – politici e antipolitici – si baloccano al gioco da tavolo della democrazia, è uscita su “Der Spiegel” la rivelatrice intervista al presidente della Bce, da noi passata quasi inosservata, che di colpo fa apparire tutte le diatribe politiche in corso nella penisola come futili e astruse.
Alla luce delle parole di Draghi tutti – politici e antipolitici – somigliano d’improvviso ai capponi di Renzo o ai ragazzini che giocano a Monopoli e si azzuffano per palazzi e terreni del tutto virtuali, puramente cartacei.
Draghi ha detto: “Molti governi debbono ancora capire che la sovranità nazionale l’hanno persa molto tempo fa. In passato hanno consentito che il debito sovrano toccasse livelli record e ora hanno bisogno della buona volontà dei mercati finanziari. Sembra un paradosso, ma è l’assoluta verità”.
E’ chiaro che l’Italia – visto il suo debito – è nel gruppo di testa di questi Paesi che “hanno perso la sovranità nazionale”. Che la diagnosi di Draghi sia quella ufficiale, accreditata dai mercati e dalle istituzioni internazionali, è dimostrato dall’andamento dello spread e dalle sue conseguenze nella penisola.
E’ certamente grande la responsabilità che si sono assunte le classi dirigenti italiane che – a diverso titolo – hanno accumulato o non diminuito un simile debito pubblico.
Quello che però Draghi non spiega è questo: se l’Italia ha perso (senza accorgersene) la sua sovranità perché ha accumulato un debito che è il 120 per cento del Pil, perché non è accaduto lo stesso al Giappone che ha un debito del 236 per cento (quasi il doppio dell’Italia)?
L’unica risposta è questa: il Giappone ha una sua propria moneta, inoltre il debito giapponese è allocato al 90 per cento nelle mani degli stessi risparmiatori giapponesi (quindi è al riparo dalla speculazione), mentre quello italiano è in gran parte nelle mani di stranieri, di banche, istituzioni finanziarie e fondi di investimento.
Sarebbe interessante andare a vedere quali governi e perché decisero l’internazionalizzazione del nostro debito. E se qualcuno si rese conto di cosa significava, soprattutto mentre si aderiva alla moneta unica europea senza una banca di riferimento.
Infatti negli anni Ottanta anche il nostro debito era perlopiù nelle mani dei risparmiatori italiani, come quello giapponese, e – battendo moneta nazionale – non si poteva dire che avevamo alienato la nostra sovranità nazionale, pur avendo un debito grande come quello attuale (non era una situazione sana, ma eravamo padroni della nostra sorte).
Invece oggi che siamo debitori verso stranieri e in euro (non in lire), ci troviamo con la testa nel cappio e dobbiamo accorgerci – come dice Draghi – di aver perduto la nostra sovranità.
Peraltro ci sarebbero pure altre domande da fare al presidente della Bce. Perché solo un anno e mezzo fa, con quello stesso debito, avevamo uno spread che era metà di quello attuale?
E siamo proprio sicuri che la tempesta in cui è incappata l’Ue sia stata causata dal nostro debito pubblico? Ci sembra di ricordare invece che il crollo è cominciato nel 2006 e nel 2008 dall’America, precisamente dalla crisi dei subprime.
Perché nessuno parla più degli errori del sistema finanziario internazionale, delle sue speculazioni e delle regole che occorre far valere? E perché nessuno riconosce gli effetti disastrosi della globalizzazione a tappe forzate? Perché a pagare tutti i conti sono oggi gli stati, cioè i popoli?
C’è pure da chiedersi se in questo giudizio universale sia giusto usare come unico parametro il rapporto fra debito pubblico e Pil. Se infatti si considerasse il debito aggregato – cioè, con quello dello stato, pure il debito di famiglie e imprese – il Giappone sarebbe sempre maglia nera (471 per cento del pil), ma l’Italia sarebbe messa meglio di Francia e Gran Bretagna e si troverebbe vicinissimo, in classifica a Germania e Stati Uniti.
Perché, chi e dove ha deciso che il parametro di giudizio di un Paese deve essere esclusivamente quello del debito pubblico?
Ci piacerebbe che Draghi, ma anche le classi dirigenti europee e italiane, ci spiegassero questi enigmi. Invece parlano solo del nostro debito pubblico. E Draghi, dopo averci spiegato che l’Italia non è più un Paese sovrano perché ha il debito nelle mani dei mercati finanziari, afferma che dovrebbe rinunciare pure a gran parte della sovranità di governo residua conferendola all’Europa.
Infatti il Presidente della Bce aderisce (“sono assolutamente favorevole”) alla proposta del ministro tedesco Schauble che vuole attribuire al Commissario europeo per gli affari economici e monetari il potere di intervenire direttamente sui bilanci dei singoli Stati.
Draghi afferma: “i governi darebbero prova di saggezza se prendessero questa proposta in seria considerazione. Sono fermamente convinto che per ripristinare fiducia all’interno dell’eurozona ci debba essere una cessione di sovranità dai Paesi alle istituzioni europee”.
Secondo Draghi i Paesi che hanno perso la loro sovranità a causa del debito la “riacquisteranno solo condividendola a livello europeo”.
Ma l’idea non è affatto convincente. E’ come dire: visto che ti sei rotto una gamba, rompi pure l’altra così tornerai a correre. In pratica l’Italia perderebbe ogni margine di scelta dei suoi governi.
E non certo per una svolta europeista. In questo caso infatti la cessione di sovranità non avverrebbe per adesione a un’Europa federale, con istituzioni democratiche, dove tutti siamo alla pari.
Sarebbe piuttosto una definitiva perdita dell’indipendenza. Così saremmo per metà in mano ai mercati finanziari e per l’altra metà in mano a una tecnocrazia europea monopolizzata da altri. Sarei felice di sbagliarmi, ma spiegateci…
Draghi dipinge un quadro in cui sembra che a venire attaccati siano stati i Paesi ad alto indebitamento. Ma in realtà sotto attacco c’è l’euro, per la sua gracile e improbabile costituzione, e i Paesi più indebitati come l’Italia pagano il conto di questo attacco, un conto più salato di quanto meriterebbero.
Mentre altri Paesi da questa crisi possono addirittura guadagnare, se è vero quanto dice lo stesso Draghi al lettore-contribuente tedesco (“se i governi dell’Europa del sud continueranno a realizzare con successo le riforme che abbiamo visto negli ultimi mesi, i contribuenti tedeschi ricaveranno un utile dagli acquisti della Bce”… “in particolare i contribuenti e i risparmiatori tedeschi”).
Questa è la guerra in corso: c’è in gioco l’Italia. Occorre capire e spiegare a tutti gli italiani come stanno le cose. Con una narrazione diversa da quella fornita da Draghi a “Der Spiegel”. E dopo la narrazione ci vogliono proposte conseguenti.
Invece la politica italiana sembra in altre faccende affaccendate: si diverte al gioco delle primarie e ai numeri di Grillo. Così agli italiani non resta che protestare perché Monza torna in provincia di Milano.
Antonio Socci
Da “Libero”, 3 novembre 2012