DIMISSIONI DEL PAPA

Dimissioni del Papa, evento «apocalittico»
di Massimo Introvigne
11-02-2013

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Le dimissioni di Benedetto XVI – cui in questo momento va tutto il commosso affetto di chi per anni su queste colonne ha commentato quotidianamente il suo Magistero – costituisce un avvenimento tecnicamente «apocalittico». Ma questa parola va intesa correttamente. Il riferimento non è alle bufale, che circolano ampiamente su Internet, sulle false profezie attribuite nel Rinascimento al santo vescovo irlandese Malachia di Aarmagh (1094-1148) o ad altri annunci della fine del mondo, del tutto estranei allo stile cattolico. L’aggettivo «apocalittico», ben compreso, non contiene nessuna predizione cronologica quanto alla fine del mondo, ma indica che viviamo in un tempo di estrema difficoltà per la Chiesa e per la società, in cui un processo plurisecolare di scristianizzazione si «rivela» come putrefazione finale, con una virulenza antireligiosa, anticristiana e anticattolica inaudita.

Nel celebre discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 e nella sua enciclica del 2007 «Spe salvi» – una grande enciclica, decisiva per l’interpretazione della storia, della cui insufficiente eco tra i cattolici il Papa ha avuto più volte a dolersi – Benedetto XVI ha mostrato precisamente come siamo arrivati davvero in fondo a un processo che ci ha progressivamente allontanato dalla sintesi di fede e ragione faticosamente costruita dall’Europa cristiana in tanti secoli di preghiera, studio e lavoro. Prima Martin Lutero (1483-1546), insieme al razionalismo del Rinascimento, butta via la ragione, aprendo la strada a un pericoloso fideismo e avviando la distruzione della cristianità medievale. Poi l’Illuminismo, con il pretesto di rivalutare la ragione, la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che dichiarava di voler salvare. In terzo luogo le ideologie del Novecento, criticando l’idea astratta di libertà dell’Illuminismo, finiscono per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Infine la quarta tappa: il nichilismo contemporaneo, caratterizzato da un relativismo aggressivo che diventa «dittatura» e attacca i santuari della vita e della famiglia.

Nell’enciclica «Caritas in veritate» del 2009 Benedetto XVI illustra come, diventando politica, la dittatura del relativismo si presenti insieme come attacco ai principi non negoziabili, anzitutto attacco alla vita, e come tecnocrazia. «La questione sociale è oggi diventata radicalmente questione antropologica», e – come ha ripetuto nel viaggio in Germania del 2011 e nello storico discorso al Parlamento tedesco, il Bundestag – ormai non si nega più soltanto la legge di Dio, si afferma pure che non esiste una legge naturale.

In molti testi, in particolare nei messaggi annuali per la Giornata Mondiale della Pace e nei discorsi rivolti ogni anno al Corpo Diplomatico, il Pontefice aggiunge che la gravissima negazione della libertà religiosa anche in Europa e in Occidente fa da inquietante sfondo a queste negazioni. Nel discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2012 il Papa mostra come la malattia della nostra civiltà sia arrivata a una fase davvero terminale con l’ideologia del gender e la teoria secondo cui non abbiamo una natura umana di uomo o di donna ma possiamo semplicemente inventarcela. «La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela». Ma «dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio». Che si sia potuti arrivare alla negazione di Dio e alla negazione dell’uomo mostra il carattere finale, dopo tante altre rivoluzioni, della «rivoluzione antropologica» dei nostri giorni.

Finale rispetto a un processo plurisecolare di attacco alla Chiesa, e dunque – ancora, senza nessun riferimento a una fine del mondo di cui sappiamo di non sapere né il giorno né l’ora – «apocalittico». A torto considerato poco interessato ai messaggi profetici, Benedetto XVI ne ha invece commentati a più riprese soprattutto due, che già da prima di diventare Pontefice lo hanno sempre interessato e ispirato, il messaggio di Fatima e le profezie di santa Ildegarda di Bingen (1098-1179).

Pellegrino a Fatima nel 2010, il Papa ha così riassunto il messaggio della Madonna del 1917: «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo». Al cuore del messaggio di Fatima vi è un giudizio sulla storia, e in particolare sulla storia moderna. Le tragedie annunciate a Fatima non sono finite con la fine delle ideologie del XX secolo e del comunismo, cui pure il messaggio del 1917 si riferisce. La crisi non è risolta. Da un certo punto di vista è oggi più seria che mai, perché è anzitutto crisi di fede, quindi crisi morale e sociale.

«La fede – sono ancora parole del viaggio in Portogallo – in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata» «Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna» All’interno stesso della Chiesa non mancano infedeltà, fraintendimenti, assenza di sano realismo. «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?».

E la stessa terza parte del segreto di Fatima – la visione di un Papa che muore raggiunto da «colpi di arma da fuoco e frecce» – nel viaggio del 2010 è stata riferita da Benedetto XVI non solo all’attentato al beato Giovanni Paolo II (1920-2005), cui lo stesso cardinale Ratzinger l’aveva collegata rivelandola al mondo nel 2000. Ma anche – le profezie hanno sempre più di un significato – agli attacchi rivolti alla stessa persona di Benedetto XVI, dall’esterno (i colpi di arma da fuoco, che partono da più lontano) della Chiesa ma anche dal suo interno (le frecce). «Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio – aveva detto ancora il Pontefice a Fatima – vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa».

Vi è qui un accenno alla questione dei preti pedofili – alla sua tremenda realtà, e insieme agli attacchi strumentali portati al Papa prendendola come punto di partenza – che ha indotto Benedetto XVI anche a rileggere e commentare le profezie anch’esse «apocalittiche», della suora medievale tedesca Ildegarda di Bingen, che ha voluto proclamare dottore della Chiesa nel 2012. Ai preti pedofili, e alla crisi nella Chiesa in generale – che è anche crisi di fedeltà al Papa e al Magistero – il Pontefice ha riferito un brano delle profezie d’Ildegarda, che ha voluto leggere integralmente nell’udienza del 20 dicembre 2010 alla Curia Romana, una delle udienze per gli auguri natalizi cui Benedetto XVI ha dato particolare importanza, pronunciando ogni anno un discorso riassuntivo dei temi centrali del suo Magistero nei dodici mesi precedenti.

Leggiamolo anche noi, leggiamolo con il Papa. «Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’ E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa. Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’. E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa’».

La decisione inattesa e storicamente unica di Benedetto XVI sarà ancora commentata nei giorni prossimi, da tanti punti di vista. Ma il giudizio sul carattere veramente «apocalittico» dell’ora presente – un giudizio molto articolato sulla storia, letta anche alla luce del messaggio di Fatima e delle profezie di santi come Ildegarda – è uno degli sfondi di questa sorprendente decisione.