BERLUSCONI E’ FINITA

Il primo turno delle elezioni amministrative mi ha reso assolutamente felice. Dei tanti pensosi commenti preoccupati dell’antipolitica e dei grillini me ne rido. Sarò urticante per i signori dei partiti, ma chi mi legge su Tempi non si stupirà. Da tempo ho spiegato come vedessi finiti i vecchi centrodestra e centrosinistra. Il voto lo dice ufficialmente: la Seconda Repubblica è finita. Finalmente, dico io. E il motivo sta nelle vite di noi tutti. Sta nel fatto che gli italiani negli ultimi sei mesi sono stati dolorosamente costretti ad aprire gli occhi sulla realtà. Dopo aver tremato all’idea che potesse essere l’Italia con la sua esplosione il detonatore dell’euro, oggi ci avviamo a una perdita del Pil pro capite del 2 per cento e un calo dei consumi del 3. Siamo a 22 punti di produzione industriale in meno rispetto a metà 2007. Gli investimenti scendono dalla bassa media 2001-2007, pari a 21 per cento di Pil ogni anno, verso quota 18. La disoccupazione torna a due cifre, come prima del pacchetto Treu, con la differenza che oggi coi contratti atipici ci siamo giocati una generazione. La pressione fiscale sale di 5 punti di Pil rispetto a dieci anni fa, e non è al 45 per cento come dicono le statistiche ufficiali ma al 54, detraendo dal Pil l’Italia che le tasse non le paga, mentre la spesa pubblica è al 60 per cento del Pil legale.
A differenza del 2008-2009, quando la crisi colpì le imprese che esportavano, oggi a essere in ginocchio sono le piccole aziende che lavorano per il mercato domestico, stremate dalle esose pretese fiscali di uno Stato ladro che non paga i debiti commerciali e non compensa i crediti fiscali per oltre 100 miliardi di euro, dal credit crunch e dal fatto che tutti sono diventati cattivi pagatori. Di qui lo stillicidio quotidiano di piccoli imprenditori che s’impiccano e si sparano. Nel silenzio di politica e governo, che dovrebbero entrambi vergognarsi. Vent’anni di politica sbagliata (destra e sinistra) hanno sempre accresciuto insieme spesa pubblica e tasse. E oggi l’algido governo tecnico non capisce che occorre immediatamente cambiare linea, metter mano alla Cassa depositi e prestiti per pagare i 100 miliardi che lo Stato deve alle imprese, e abbattere il debito privatizzando i mattoni di Stato anziché pestare di tasse gli italiani. Non basta un bilancio così disastroso per comprendere perché centrodestra e centrosinistra vengano fatti a pezzi nelle urne?
Naturalmente le crisi dei diversi ceppi politici non sono eguali, ma chi può stupirsi, dopo quello che è successo intorno a Bossi, che la Lega venga bastonata e che a salvarsi sia solo il bravo Flavio Tosi a Verona, il quale due mesi fa rischiava l’espulsione? E che il Pdl di fatto non esista più sul territorio, perché i vertici non riescono ancora a dire che la lunga epoca di Berlusconi è fi-ni-ta? Quanto al Pd, per carità, i suoi resti hanno una resilienza incomparabilmente maggiore alla volatilità del fenomeno berlusconiano. Ma Bersani e D’Alema si illudono se pensano di essere gli Hollande italiani. A Genova come a Palermo oggi – come a Milano, Napoli e Cagliari ieri – vincono sindaci che hanno fatto a pezzi i candidati democratici alle primarie. E tutti indicano al Pd alleanze e politiche diverse da quelle sin qui praticate, analoghe a quelle della sinistra antagonista che ha fatto perdere 30 punti ai socialisti del Pasok in Grecia. Il successo del Movimento 5 stelle nasce di qui. Per conto mio non è comprensibile, ma benedetto. È l’unico (oltre ai radicali) che sul contributo pubblico ai partiti pratica un coerentissimo rifiuto. Il trio ABC è riuscito a non capire neanche che le vicende Lusi e Belsito, mentre gli italiani sono in ginocchio per le pretese dello Stato, impongono una drastica legittimazione morale e la rinuncia di almeno metà del contributo.
Sono certo che destra e sinistra non tireranno dal voto le conseguenze che sembrano inevitabili a me. Strattoneranno invece il governo Monti, facendo ballare ancor di più l’Italia mentre l’Europa impazzirà nel forte rischio che la Grecia esca dall’euro e i francesi respingano il fiscal compact. Nel Pdl troppi s’illudono che saranno comunque salvati da chi considerano ancora leader, Berlusconi. Il Pd dirà pensosamente che l’Italia e l’Europa vanno finalmente a sinistra, mentre il serio rischio è che entrambe vadano a ramengo. E brinderà alla fine dell’età neoliberista, che in Italia non è mai esistita. Solo se Grillo salirà ancora nei sondaggi forse qualcuno uscirà dai 18 anni alle nostre spalle. Altrimenti sarà fatta giustizia elettorale, qualunque sia la data delle prossime politiche. Alle quali bisogna andare non con una legge proporzionale, ma semplicemente con partiti e alleanze diverse.
Per i liberali liberisti personalisti e sussidiaristi come me, c’è da gioire ma non c’è molto da sperare. Tranne esser pronti a un’offerta politica diversa che ci consenta di testimoniare che solo con uno Stato radicalmente diverso l’Italia può crescere – a cominciare dalla componente demografica, abbattuta per l’umiliazione della famiglia da parte del leviatano statuale tassicodipendente. A governare saranno altri, statalisti vecchi e nuovi. Ma chi non pensa che debba essere amaro e faticoso il cammino della rilegittimazione dopo 17 anni di promesse vergognosamente tradite dal centrodestra berlusconiano, si illude.