Enzo, era del tutto estraneo alla normalità: non si vestiva normalmente, non faceva politica normalmente, non ragionava normalmente. Di normale, nella sua vita, c’è stata solo la morte: la maledetta strìa, che ci normalizza tutti, in un’obbligata postura orizzontale. A quella ci si deve inchinare: a tutto il resto Enzo De Canio non si è mai inchinato. Eccentrico intellettuale, dalla cultura vastissima e un po’ capziosa, da uomo d’altri tempi, si è trovato a nuotare in una vasca di girini: a misurarsi con un’epoca, con uomini, con situazioni miserabili. Che volete che vi dica di Enzo? Era un colossale rompiballe: quando aveva in mente un progetto, una conferenza, un’iniziativa, non ti mollava più.
Ogni giorno, con terrificante precisione, ti faceva uno squillo, ed iniziava con quella sua cantilena, sempre uguale da tanti anni: ciao, Enzo…Eppure, quanto mi piacerebbe che mi rompesse le balle ancora una volta! Quel che era, che è Enzo De Canio, ora che è morto, lo scriveranno tutti, come sempre accade: era un genio, era un uomo coerente, era un santo. Anche a me piacerebbe scrivere che eravamo amici da tanto, che mi mancherà, e, sfogando la rabbia e la malinconia, chiuderla lì, magari con qualche bella frase ad effetto. Ma a Enzo questo non sarebbe interessato. Così voglio dirvi quello che lui ha detto a me, dieci ore prima di morire: in articulo mortis, come avrebbe chiosato lui. Enzo è stato il più formidabile organizzatore di cultura di questa povera città, che la cultura, di solito, la vede col binocolo: ha portato a Bergamo centinaia di intellettuali e di studiosi di levatura assoluta, ultima Antonia Arslan. Mentre gli altri tramavano sottobanco le loro gherminelle, delegavano, comandavano, intascavano, Enzo, nel silenzio e, spesso, nella derisione, macinava conferenze, convegni, presentazioni. Non aveva a sostenerlo i partiti, i poteri forti né quelli deboli: ha lavorato, in instancabile solitudine, per dare alla nostra città una vita culturale degna di questo nome. Se non l’unico, certamente, di gran lunga il migliore. Per questo, la sua creatura, l’associazione “Alle radici della comunità”, è il suo lascito, ma anche il comandamento di chi gli abbia voluto bene: a Enzo non interessava la propria morte quanto quella del suo lavoro. Se vogliamo davvero ricordarlo, tutte le belle parole che ci salgono alle labbra conserviamole, per spenderle sulla strada che lui ha tracciato: facciamo che Enzo De Canio sopravviva nelle azioni e nel buon operare della sua associazione. Solo così, in un mondo di morti viventi, anche morendo, si può vivere ancora.