ciò che non si è capito sul front national

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Roma, 25 mar – Per i militanti di Fratelli d’Italia, Lega Nord e anche qualcuno del M5S, Marine Le Pen – reduce da una clamorosa vittoria elettorale alle comunali francesi – è semplicemente l’equivalente transalpina di Meloni,…
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Roma, 25 mar – Per i militanti di Fratelli d’Italia, Lega Nord e anche qualcuno del M5S, Marine Le Pen – reduce da una clamorosa vittoria elettorale alle comunali francesi – è semplicemente l’equivalente transalpina di Meloni, Salvini o Grillo. Per qualche duropurista, ma specularmente anche per qualche finiano residuo, si tratta invece di una clonazione di Gianfranco Fini, cosa che a seconda dei casi viene vissuta come una scomunica o una rivincita postuma. Inutile dire che hanno, semplicemente, tutti torto.

Il Front national ha una storia lunga e complessa, che proprio il Primato nazionale ha provato qualche tempo fa a ricostruire, e che è inscindibile dalla storia generale della politica francese, che è molto differente dalla nostra. Ogni paragone, ogni appropriazione indebita, ogni decontestualizzazione finiscono quindi per sembrare solo una patetica rincorsa al carro del vincitore.

La Meloni è stata ministro, la sua ambizione è quella di ridare vita a un partito che è stato dentro e fuori dal governo a partire dalla metà degli anni ’90: cosa c’entrerà mai con un partito attorno a cui è eretto tuttora un pesantissimo cordone sanitario antifascista che porta addirittura la sinistra a ipotizzare alleanze con la destra istituzionale in funzione antilepenista? Il tutto per tacere, poi, del complicato rapporto di FdI con l’eredità post-fascista, che è assolutamente estranea alle alte gerarchie, ma anche all’elettore medio, del Front national.

Stesso discorso per la Lega, che ha esaurito tutto il suo potenziale di originalità e fino a ieri ha avuto in mano il Viminale, oltre che alcune delle maggiori regioni italiane tuttora in suo possesso, e che resta un movimento dall’identità ideologica a tutt’oggi sfuggente, certo non sovrapponibile al nazionalismo esagonale frontista.

Quanto al M5S, ci ha pensato lo stesso Grillo a sottolineare la totale differenza di tradizione politica tra i due movimenti.

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Anche le categorie dei politologi della domenica lasciano il tempo che trovano: estrema destra, populismo, voto di protesta. Tutte etichette vuote, spauracchi per vecchie zie, che omogeneizzano un quadro europeo quanto mai frastagliato e differenziato per ridurre il tutto alla calata dei barbari contro cui fare quadrato e votare i più rassicuranti partiti borghesi.

Per capire il fenomeno Front national, invece, bisognerebbe calarsi a pieno nella realtà francese. E capire che la Francia contemporanea non è altro che un gigantesco, decennale esperimento di laboratorio delle élite trotzkiste, perseguito con una ferocia e una determinazione da noi piuttosto inconcepibile. Ovvero: prendere una nazione europea con solidissime tradizioni e trasformarne radicalmente il paesaggio antropologico, sociale, culturale, religioso, familiare, etnico.

Rispetto a tutto questo, il Front national viene interpretato dai francesi semplicemente come il sindacato etno-culturale della Francia reale. E questo, si badi, forse persino a prescindere dai programmi stessi del Fn.

Il passaggio di consegne da Jean-Marie a Marine ha portato nel partito una svolta anti-liberale più marcata rispetto a quella che l’anziano leader aveva già operato  circa le sue simpatie reaganiane degli anni ’80. Ma ha anche spinto l’acceleratore sulla presentabilità del partito, rinunciando a tutto il corollario di battute e provocazioni tipiche di Jean-Marie sull’asse Vichy-Oas e prendendo brutalmente le distanze da molti analoghi movimenti europei dall’aura più sulfurea.

Tutto questo porterà a una Fiuggi francese? È presto per dirlo (anche se non si può non notare che la Fiuggi italiana portò uno spostamento ideologico verso la destra economica, in Francia si assiste semmai al contrario). Resta il fatto, tuttavia, che oggi in Francia votare Front national resta una scelta rivoluzionaria. Forse più di quanto non sia rivoluzionaria la stessa Marine Le Pen. Quella croce su un simbolo, tuttavia, è un atto di ribellione che trascende largamente le intenzioni e le ambizioni della stessa leader frontista. I francesi sono nel pieno di una rivolta di popolo che passerà anche per la preferenza alle urne della fiamma tricolore. A Marine la scelta di finire come Frigide Barjot, la già dimenticata organizzatrice delle prime Manif Pour Tous, superata dagli eventi per non aver capito le potenzialità della piazza che ella stessa organizzava, o diventare la nuova Marianne che guiderà il popolo contro i suoi nemici di sempre.