Ci sono due immagini contrapposte che invitano a riflettere attentamente. La prima è quella del mondo finanziario. Osservando l’andamento delle borse dall’inizio dell’anno si deduce facilmente che ci sono ingenti capitali che circolano tra i mercati di tutto il mondo. La BCE, al pari delle altre banche centrali, continua a fornire liquidità a basso costo e quindi a sostegno ai mercati finanziari. In Italia il Mib ha registrato un incremento del 23% rispetto al mese di giugno dello scorso anno. Sempre nel nostro paese la crisi non ha fermato il risparmio gestito degli italiani: il patrimonio dei fondi ha registrato a fine aprile il record di oltre 1.256 miliardi di euro (fonte Sole-24 ore, 29 maggio 2013).
La seconda immagine è quella dell’economia. Il nostro Pil è in calo da sette mesi, è quasi impossibile ottenere un mutuo sulla casa e le aziende non hanno più accesso al credito. Nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione dell’Unione europea è salito dal 10,3% al 10,9%, nell’eurozona dal 11% al 12,1%: il più alto mai registrato nella storia della moneta unica.
Una prima riflessione, la più ovvia, è che non è vero che in giro non ci siano più soldi è che questi vanno in direzione opposta da quelle che ci attendiamo. La seconda riflessione, non meno rilevante della prima, è che la finanza non è più uno strumento al servizio dell’economia. La terza è che le banche hanno definitamente smesso di fare le “banche”. Hanno smesso cioè di esercitare il ruolo d’impresa privata che distribuisce beni e servizi e fornisce alla clientela mezzi di pagamento e d’intermediazione finanziaria per affermarsi come intermediari mobiliari focalizzati a speculazioni finanziarie assumendo anche posizioni di rischio attraverso l’acquisto di prodotti derivati. L’ultima, la più incresciosa è che si continua a parlare di tasse, di IMU di manovre di correzione del debito pubblico, ma in quanto a tassazione degli intermediari finanziari, nei confronti di chi ha di chi ha creato la bolla finanziaria e continua a specularci ricavando ingenti guadagni non c’è traccia.
Ma quando la liquidità della finanza tornerà a supportare anche l’economia reale riallineando così gli andamenti divergenti tra mercati e crescita ?
Occorrerebbe allora riflettere sulla proposta avanzata da Assogestioni nel permettere ai fondi di usare fino al 10% del patrimonio in investimenti nelle imprese per mettere a disposizione dell’economia reale fondi aggiuntivi per lo sviluppo. Gli stessi risparmiatori italiani vedrebbero quindi che parte del loro risparmio è s investito per aiutare le imprese e salvare posti di lavoro. E’ un progetto che si auspica vada a buon fine a breve. Il tempo è davvero poco.
Fabio Fanecco