Le liste civiche che stanno nascendo o rinascendo in tutta la nostra penisola paiono essere un momento di speranza per il quadro politico italiano ove un italiano su due diserta le urne e ritiene la politica un luogo di malaffare.
Speranza di un cambio di passo della vita politica e dei politici, che si caratterizzi in una rottura dagli schemi verticistici dei partiti romani.
Speranza di rottura dalle segreterie politiche e dai padroni e padrini che impongono programmi e uomini lontani dal bene comune e vicini a loro interessi personali o di lobby.
Una rottura, dunque, da “padrini e padroni” nel nostro agire nella vita pubblica.
Che il cambiamento sia necessario è sotto gli occhi di tutto coloro che vedono in maniera realistica il presente, la tangentopoli romana di questi giorni ci serve da sveglia nel caso ci fossimo addormentati sul punto, per la necessità di cambiamento.
Siamo stati il paese dei mille campanili, mille e piu’ municipalità, capaci di essere vicine ai cittadini, di non farli sentire periferia di un lontano dispotico potere centrale, che li opprimeva con mille balzelli senza dare nulla in cambio.
E’ evidente come la crisi della politica abbia toccato anche le amministrazioni periferiche, attraverso clientelismo, nepotismi, scandali, inchieste giudiziarie, sprechi, inefficienze.
La crisi però non risiede solo nel fallimento dei progetti politici, ma nasce prima e soprattutto nel crollo della tensione ideale di questi ultimi, nel venir meno di una integrale esperienza umana, che attraverso un’educazione civica, puntasse a sentire delle persone, al bene comune e non a meccanicistici o interessati obiettivi di utilità immediata.
Si tratta di un tema antico in Italia, addirittura preunitario.
In molti italiani che non si arrendono, è sorta la consapevolezza di come si proceda nella “prassi del compromesso” – naturalmente si intende quello non virtuoso – si persista nei vecchi sistemi di trasformismo politico, di selezione della classe politica, non in ragione delle eccellenze personali, ma di criteri di amicizia, in un orizzonte di grandi promesse, faraonici piani e di modeste o nulle realizzazioni, in ultima analisi di una “demagogia parolaia”, complici i mass media sempre piu’ condizionati e controllati.
Già nel dopo guerra questa analisi e le soluzioni erano state proposte da Adriano Olivetti (1901 – 1960). Si tratta di una delle piu’ influenti e singolari figure del novecento. Straordinario imprenditore, fine intellettuale e politico fuori dal coro.
Fu un innovatore delle scienze sociali e precursore dell’urbanistica.
Tra il 1930 ed il 1960 ebbe a condurre la fabbrica di macchine da scrivere del padre, portandola ai vertici del successo mondiale e dell’innovazione tecnologica.
Convertitosi al cattolicesimo, elaborò un progetto di riforma sociale in senso comunitario, ancor oggi riconosciuto come tra le realizzazioni piu’ attuali ed avanzate di sostenibilità.
Nel suo libro “Democrazia senza Partiti” ripubblicato nel 2013, dalla Casa Editrice “Edizioni di Comunità”, prima di riaffermare che : ” Il fine della nostra azione politica è stato posto concretamente: lo stabilirsi di una civiltà cristiana” (cfr. pag.54) descrivendo nelle pagine successive i caratteri di tale civiltà: libertà, riconoscimento dell’idea di autorità, divisione dell’attività politica in ordini funzionali, Adriano Olivetti, ci insegna come : ” Il compito dei partiti sarà esaurito e la politica avrà un fine quando sarà annullata la distanza fra i mezzi e i fini, quando cioè la struttura dello Stato e della società giungeranno ad un’integrazione, a un equilibrio per cui sarà la società e non i partiti a creare lo Stato” ( cfr. pag.43).
La lettura di “Democrazia senza partiti” aiuta nella prima parte a fondare le ragioni del civismo, ove come detto, riprende il tema antico del partitismo in Italia, ancora oggi insoluto, prendendo spunto da alcuni illustri intellettuali o politici sul tema, fra cui pare utile qui citare e in cui noterete un’attualità sorprendente:
1) ” Gli schemi in cui si svolge la vita politica nostra (i partiti) non consentono agli uomini sufficiente vitalità. Gli uomini cercano, nella vita pratica, realtà ideali concrete che comprendano i loro bisogni e le loro esigenze. Oggi i partiti si sono limitati a formule vaste ed imprecise, da cui nulla si può logicamente e chiaramente dedurre (…) Nella vita attuale dei partiti di concreto c’è solo un circolo pernicioso per cui gli uomini rovinano i partiti, e i partiti non aiutano il progresso degli uomini” (pag.16) Piero Gobetti (1901 – 1926);
2) ” Le voci di parte e di setta (…) son rissose e non pacifiche, intolleranti e non conciliative, parziali e non eque, eccessive e non moderate, volgari e non generose, sollecite di se stesse anzichè della Patria, e licenziose intorno ai mezzi per sortire l’intento loro. Tanto che, assommata ogni cosa, tengono piu’ o meno del rovinoso e del retrogrado anche quando si credono progressive o conservatrici” (pag.27) Vincenzo Gioberti (1801 – 1852);
3) ” Ciò che impedisce la giustizia e la morale sociale sono i partiti politici. Ecco il verme che rode la società, che confonde le previsioni dei filosofi, che rende vane le piu’ belle teorie. In qual nodo adunque la civile associazione si difenderà da pericolo dei partiti? Ecco uno dei piu’ difficili problemi per l’uomo di Stato, per la filosofia politica” (pag. 28) Antonio Rosmini ( 1797 – 1857);
4) ” A prova della possibilità di un Governo libero senza essere un Governo di partito, si additerà qualche cantone delle Svizzera, dove nel Consiglio di Stato, che è la potestà esecutiva, si trovano uniti uomini e donne di opinioni diverse, anzi opposte. Il che avviene per effetto del modo d’elezione, la quale non viene dall’assemblea, ma direttamente dal popolo. E così manca uno dei cardini del sistema parlamentare, cioè che il potere esecutivo non possa reggersi che sostenuto dalla fiducia dell’assemblea elettiva (…). La ragione e l’esperienza dimostrano che il Governo parlamentare è un Governo di partito e come tale ha la tendenza a favoreggiare gli amici e ad opprimere gli avversari e quindi si ingerisce indebitamente nella giustizia e nell’amministrazione, e ne perturba l’andamento e ne guasta gli effetti salutari” (pagg. 28 – 29 ) Marco Minghetti (1818 – 1886).
Son passati due secoli ma nulla è cambiato.
E allora quali i rimedi per ieri, oggi e domani?
Dapprima con Adriano Olivetti ricordiamo, come la nostra Comunità sia : “Il luogo di incontro del tuo prossimo (Ricordate bene: il vostro prossimo è quello che potete e dovete soccorrere perchè il destino l’ha posto davanti a voi perchè l’avete incontrato) (pag.62) e che: “Solo mirando ad un ordine fondato su leggi e mete spiritualì, quest’azione è concretamente possibile. Perciò ogni altra strada, ogni altro metodo, ogni altra ideologia è illusione vanità o menzogna” (pag.72).
Oggi piu’ che mai occorre prendersi la libertà di sceglierci i nostri rappresentanti senza mistificazioni, costituendo liste civiche dal basso, a livello locale, comunale, si tratta di un punto di vista di ripresa, di una politica che superi gli schemi consunti e consueti, in favore del bene comune.
Tutte le elezioni locali siano, dunque il momento per far ripartire la politica dal basso e per coinvolgere di nuovo la gente, il popolo intorno ad essa, in una rinnovata responsabilità verso i bisogni della gente.
Il mandato politico sia, nella sua vera essenza, cioè un atto di fiducia degli uomini in un uomo, in un gruppo di uomini, quest’ultimo pare un concetto molto semplice, ovvio, ma nella prassi non accettato e soprattutto non praticato.
Occorrono uomini di cui si conoscano le idee, i comportamenti, i progetti, la vita, che sappiano interpretare innovazione e tradizione, che vivano la politica come servizio alle proprie comunità, alle proprie famiglie, attività. Che dalle proprie comunità siano scelti direttamente e che ad esse rendano conto della loro azione politica.
Si può fare, coraggio, già in molti siam partiti, ma senza “partiti”.
Benedetto Tusa