La narrazione mediatica, dai tg alle principali testate della carta stampata, è di un fanatico reazionario ostile ai diritti dei migranti e di una Europa democratica e accogliente, che protesta contro di lui. Per verificare quanto questo quadretto sia aderente alla realtà, sintetizzo le più recenti performance dell’Unione Europea in materia di immigrazione.
Marzo 2016. L’Europa stringe un accordo con la Turchia in base al quale Ankara trattiene nei propri confini i 2,7 milioni di profughi provenienti da varie aree di guerra e persecuzione, in larga parte siriani. Si impegna altresì a riprendere i migranti che abbiano raggiunto la Grecia e non siano stati riconosciuti meritevoli di asilo. In cambio riceve dall’Unione 6 miliardi di euro e facilitazioni all’ingresso per i cittadini turchi. Il tutto sul presupposto che la Turchia è “Stato terzo sicuro”, qualifica che è rimasta dopo la repressione seguita (e ancora in corso) al paragolpe del luglio 2016. Superfluo ricordare che nella Grecia di Tsipras l’esame dei requisiti per lo status di rifugiati dura al massimo pochi giorni – in Italia ci vogliono anni tra verifiche e ricorsi – e non fornisce alcuna garanzia di serietà.
Intero 2016. In parallelo all’accordo con la Turchia, l’Unione aveva concordato al proprio interno che i 28 Stati membri avrebbero ripartito, in proporzione alla superficie e alla popolazione, i rifugiati riconosciuti come tali. Intanto fissando un tetto invalicabile per anno di 72 mila profughi. Semplicemente ridicolo: solo in Italia nel 2016 coloro a cui è stata concessa la protezione superano le 50 mila unità. E mai realizzato: nel 2016 le persone trasferite dall’Italia in altri Stati europei sono state 2.654 e dalla Grecia 7.338.
Intero 2016. A parte la Turchia, l’Europa non ha stretto alcun patto con altri Stati che, in proporzione alla loro consistenza, hanno accolto una quantità notevolmente superiore di rifugiati: il Libano, 4,4 milioni di abitanti, ha in carico 1,1 milioni di persone in fuga. La Giordania 630 mila su 6,2 milioni di abitanti. È che né Beirut né Amman posseggono gli argomenti di persuasione di cui dispone Tayyip Erdogan: si arrangino.
Intero 2016. Grazie all’accordo con la Turchia e alla blindatura dei confini di terra, siriani e iracheni che hanno perso familiari e beni sotto le bombe o di fronte all’avanzare dell’Isis, o afghani e pakistani che scappano dall’applicazione letterale della sharia, sono bloccati nel fango di Idomeni o nei contenitori metallici di Patrasso o nelle tende di Lesbo o nel ghiaccio dei confini serbi. Tutto ciò mentre l’attentatore del mercatino di Natale di Berlino ha potuto circolare liberamente per l’Europa senza essere mai riconsegnato alla Tunisia, e uno degli attentatori di Parigi è rimasto tranquillo per quattro mesi a Molenbeek, dopo le stragi compiute.
Si può e si deve discutere delle misure intraprese da Trump. Ma con un minimo di coerenza: il presidente americano ha fissato a 50 mila il limite dei rifugiati da ammettere negli States nel 2017; è un tetto, esattamente come quello fissato – e non rispettato – dall’Europa (e come quello, sia pure più elevato, stabilito da Obama). Ha sospeso gli ingressi da sette paesi a maggioranza musulmana, in attesa di ridefinire il sistema dei controlli; il blocco europeo dell’ingresso dei profughi dal “Paese sicuro” Turchia è invece a tempo indeterminato e riguarda tutte le nazionalità. Ha rilanciato la costruzione del muro al confine col Messico: in realtà un completamento, poiché un terzo dei 3.200 chilometri programmati è già realizzato, per iniziativa dei predecessori di Trump, senza paragonabile clamore di critiche, mentre ampie zone del confine sono così inaccessibili che non ne hanno bisogno. Intende rendere più efficienti i controlli biometrici negli aeroporti: quelli che la Commissione europea aveva deciso oltre dieci anni fa, e che il Parlamento europeo aveva poi fermato in nome della privacy.
Cara Europa, gentili leader degli Stati membri, il pulpito dal quale pronunciare la predica deve essere più credibile. Magari accompagnandolo a un po’ di pudore.