Di fronte al cambiamento climatico: che fare ?
Questa piovosa e monsonica estate dovrebbe richiamare, alla pubblica opinione, un tema centrale per il futuro dell’umanità : come affrontare il cambiamento climatico. Purtroppo poca attenzione è stata posta al problema, nonostante la pubblicazione del Panel intergovernativo sulle condizioni climatiche, che ultimo fra i molti pubblicati è stato presentato nell’aprile 2014 a Berlino, in previsione della conferenza internazionale sulle emissioni inquinanti prevista a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre 2015.
Tutti gli studi scientifici, a cui hanno collaborato migliaia di esperti, che hanno analizzato in ogni parte del mondo gli effetti del riscaldamento climatico, concordano sulle cause e sulle proposte di cui i governi dovrebbero tenere conto.
Le conclusioni dell’osservazione non promettono nulla di buono: ogni regione del mondo sarà infatti, anche se diversamente, colpita, da inondazioni o siccità, crescita del livello del mare, incendi nelle regioni calde, proliferazione di violenti eventi climatici.
Un’anticipazione di tale clima in negativa evoluzione oltre che nella presente estate, lo si può vedere nella siccità in California o in Australia, nei terribili tornado negli USA, nei cicloni nell’area delle Filippine, nella mancanza di acqua in alcuni Paesi del sud Europa o in Africa.
Ma mentre i Paesi industrializzati posseggono la tecnologia per attenuare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, in alcune zone povere del mondo (per es. Filippine o Bangladesch, oppure nell’Africa subtropicale) la conseguenza sarà quella dell’ulteriore aumento delle diseguaglianze della qualità della vita con il resto del mondo.
La preoccupazione è grande a causa del costante progredire delle emissioni dei gas ad effetto serra, che nel primo decennio del terzo millennio è cresciuta del 2% all’anno, mentre nel trentennio precedente era all’1,3%..
Qualora non si ponessero dei rimedi, nel 2030 potremo raggiungere l’aumento medio di 2 gradi centigradi in più di quelli ordinari.
Le cause di questi cambiamenti climatici sono quasi certamente riconducibili appunto all’aumento dei gas con effetti serra ed in particolar modo del CO 2, conseguenza diretta dell’attività dell’uomo nei campi industriali, agricoli, dei trasporti e dei consumi di energie fossili (petrolio e carbone) attività tutte che andrebbero limitate con nuove strategie politiche, innovative e impopolari, implementando di converso le energie rinnovabili.
Il focus dell’ auspicabile rivoluzione delle attuali politiche si situa peraltro sul piano educativo ad uno stile di vita più sobrio e alla modifica di abitudini inquinanti. Serve veramente, in primis, una conversione culturale ad un sistema economico e sociale che non produca CO 2, una sorta di conversione ecologica della popolazione e dei governi che dovranno assumere scelte politiche adeguate.
I governi poi dovrebbero predisporre la c.d. “strategia di adattamento”, cioè di protezione contro le terribili inondazioni, misure di risparmio dell’acqua, strutture di potenziamento e di difesa in relazione ai fenomeni straordinari, oltre che di reale protezione civile.
Occorre premunirsi di fronte a fenomeni nuovi, ma non inaspettati.
Le classi politiche, italiana compresa, restano però inattive e passive al riguardo, preferendo priviligiare i temi dello sviluppo economico rispetto a quelli ambientali, come se le popolazioni vivessero su un altro pianeta, ed in assenza di una spinta dell’opinione pubblica ad adottare cambiamenti di rilievo economico e culturale in momenti di crisi, rimandano ogni intervento. A quando sarà troppo tardi però. Chi in Italia, infatti, avrebbe il coraggio di limitare i trasporti su gomma e su strada? Quali e quante lobby politico – industriali si toccherebbero (case costruttrici di auto, di strade, sindacati degli autostrasportatori) a fronte di scelte impopolari: allora continua l’immobilismo mentre il CO 2 aumenta sempre più.
Le obiezioni falsamente liberiste delle lobby dei trasporti, che sostengono che occorre garantire la “libertà di scegliere” si scontrano con quel fine del “bene comune” che è invece proprio da perseguire da parte di governi e comunità.
Le immissioni inquinanti non hanno confini e non si fermano alle frontiere, per questo occorre accogliere con favore gli incontri internazionali di studio sul tema, e ciò anche se nel passato, ci si riferisce al protocollo di Kioto, alcuni Paesi come USA, Cina ed India non si sono vincolati.
E’ giunto il momento, anche per spingere tutti gli Stati, al rispetto degli sforzi per controllare gli sviluppi climatici, che gruppi ed associazioni (e noi di Fare Verde siamo sul pezzo), si muovano per convincere le popolazioni ad acquisire la consapevolezza della posta in gioco e di tutte le connesse gravi conseguenze (si pensi da ultimo alla scomparsa delle biodiversità e all’acidità degli oceani).
Occorre non solo operare alle esigenze ambientali del tempo presente, ma anche stabilire quale eredità ci apprestiamo a consegnare alle generazioni future.
Benedetto Tusa