Il primato dell’azione politica secondo Benedetto XVI

Il primato dell’azione politica secondo Benedetto XVI

di Ettore Malnati*

ROMA, giovedì, 29 settembre 2011 (ZENIT.org).- Giovedì 22 settembre Benedetto XVI, su invito del presidente del Bundestag, ha tenuto una “magistrale lezione” su tematiche fondamentali come il rapporto tra natura e coscienza, i doveri del politico, i fondamenti del diritto e il criterio di maggioranza nelle democrazie.

Un discorso chiaro e sapiente che il Papa fa al Parlamento del suo Paese, ma che vale per tutti coloro che, avendo scelto la politica, debbono perseguire e realizzare per i vari Popoli e per l’intera umanità il bene comune e il bene quindi della persona umana, nel rispetto e tutela di una ecologia che non può trascurare l’uomo.

Benedetto XVI inizia il suo discorso sui fondamenti del diritto da una citazione della Sacra Scrittura, e precisamente dal primo libro dei Re, in cui il giovane Salomone chiede a Dio, per poter saggiamente governare, che gli conceda “un cuore docile, perché sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3,9).

Da qui il Pontefice evince quale dovrebbe essere la preoccupazione di un politico: non certo la ricerca del successo e tanto meno del profitto materiale, bensì un impegno per la giustizia, dove “il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto”.

Ecco, allora, il dovere primario per chi fa politica: “servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia… in un momento storico in cui l’uomo… è in grado di distruggere il mondo… può manipolare se stesso… può creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini”.

Come distinguere il bene dal male in politica?

Come potrà il politico, si chiede Benedetto XVI, “distinguere ciò che è bene da ciò che è male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente”?

E’ sufficiente il criterio della maggioranza di fronte a situazioni e problematiche tanto importanti?
Papa Ratzinger si richiama con ciò a quei valori non negoziabili che non possono ricevere la loro veridicità e la bontà intrinseca da un consenso di maggioranza, ma lo hanno in sé. Così si serve il diritto e si combatte l’ingiustizia. Egli ricorda ai parlamentari del Bundestag di Berlino come nel recente passato, per liberarsi da regimi totalitari come il nazismo e il comunismo ci si è richiamati alla responsabilità personale per non adeguarsi ad un diritto vigente ingiusto. Vi sono momenti e situazioni che richiedono comportamenti – dice Ratzinger – come quelli dei “combattenti della resistenza che hanno agito contro i regimi”. Vi sono situazioni che richiedono ad un politico la sua responsabilità di coscienza nella salvaguardia della verità sull’uomo e quindi nella tutela dei diritti che ogni persona ha e di cui deve poter usufruire.

Il politico non può, senza tradire il suo specifico compito, andare contro questo. Se lo facesse priverebbe lo Stato del diritto, facendo sì che – come dice S. Agostino – “sarebbe difficile distinguere lo Stato da una grossa banda di briganti”.

Benedetto XVI ricorda che non è facile “riconoscere ciò che è giusto e servire così la giustizia nella legislazione”, e offre una lucida indicazione culturale e sapienziale dove fa memoria di come è nata la cultura giuridico-occidentale, “che è stata ed è tuttora di un’ importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità”.

Tre sono i poli di provenienza: Gerusalemme, Atene, Roma. “Il cristianesimo infatti, contrariamente ad altre religioni – dice Benedetto XVI – non ha mai imposto allo Stato o alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto… Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal II secolo avanti Cristo… (dove) si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale, sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano”.

Continua ancora il Papa: “Da questo legame precristiano tra diritto e filosofia parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei diritti Umani”.

Il diritto naturale

In tale contesto, Grozio ci offre la tesi del giusnaturalismo, cioè del concetto del diritto naturale che viene “oggi impropriamente considerato una dottrina cattolica, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico”.

Ciò che ha tentato di inficiare la validità del diritto naturale è stata la tesi di Hans Kelsen, secondo la quale tra essere e dover essere vi sarebbe un abisso insormontabile, in quanto si tratta di due ambiti diversissimi tra loro, e per questo non si può dedurre che dall’essere derivi un dovere.

La base di questa opinione è la concezione positivista di natura che non può, in quanto realtà meramente funzionale, creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto.

“La stessa cosa – dice Benedetto XVI – vale anche per la ragione positivista… Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggetto e cadono fuori dall’ambito della ragione… Dove vige il dominio della ragione positivista… le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco”.

Questo è il dramma culturale che deve essere affrontato da chi ha a cuore la dignità della persona umana e la salvaguardia del diritto nella giustizia.

E’ doveroso affrontare e risolvere il dualismo tra essere e dover essere, se si vuole dare senso e dignità ad un “diritto pregresso” e inalienabile senza venir meno a ciò che è giusto per la promozione della persona umana.

La legge di natura e il Dio creatore

E’ lo stesso Kelsen che già abbandonando nel 1965 il dualismo essere-dover essere aveva però affermato che “le norme possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza la natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontà avesse messo in esse queste norme”.

Da queste affermazioni di Kelsen Benedetto XVI pone questa domanda: “E’ veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione Creativa, un Creator Spiritus?”.

Lo spiraglio c’è ed è reale! Vi è dunque oltre l’uomo, realtà penultima, una Realtà ultima che è il Creatore. E’ proprio su questo postulato circa l’esistenza di un Dio creatore – dice Papa Ratzinger – che “sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità umana in ogni singola persona e la consapevolezza degli uomini per il loro agire”.

E’ doveroso che, soprattutto per coloro che si sono dedicati alla cosa pubblica e quindi a legiferare e ad agire per il bene della persona umana e della società degna dell’uomo, richiamarsi alla ragione Creatrice, cioè a Dio, e quindi legiferare nella tutela e promozione di ciò che è il vero bene dell’uomo, non attentando a quei valori non negoziabili che metterebbero a rischio ciò che deve essere promosso, difeso e tutelato.

Discorso importante che riporta Dio al posto che gli spetta non solo nel primato religioso, ma anche nel vivere pubblico di ogni popolo.

*Ettore Malnati è docente di Diritti dell’uomo presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste, dove ha insegnato anche Irenologia nel corso di laurea in Scienze Diplomatiche; è docente incaricato di Dottrina sociale della Chiesa presso la Facoltà teologica di Lugano; insegna antropologia teologica e trinitaria, sacramentaria ed escatologia presso lo Studio Interdiocesano del Friuli-Venenzia Giulia e in altri Istituti Superiori di Scienze religiose. Presidente dell’associazione culturale Studium Fidei di Trieste, dal 2000 è annoverato tra i membri della Russian Academy of Natural Sciences per la sua attività teologica ed ecumenica. È autore di numerose pubblicazioni.