Macché fine della crisi, il peggio deve ancora arrivare

Macché fine della crisi, il peggio deve ancora arrivare

di Gabriella Meroni

Non è un’iniezione di ottimismo quella che arriva dall’analisi dei dati sul sistema previdenziale globale: quando smetterà di lavorare la generazione dei baby boomers il sistema imploderà, causando miseria e cambiando il welfare dei paesi ricchi. E succederà tra poco

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Una crisi senza precedenti incombe sul mondo. Non è decisamente un buon auspicio con cui cominciare l’anno nuovo, ma sulla stampa internazionale ha fatto molto rumore l’inchiesta di un team di giornalisti dell’Associated Press che ha analizzato l’impatto del “pensionamento di massa” che sta dietro l’angolo, quando la generazione dei baby boomers (i nati tra il 1945 e il 1960) smetterà di lavorare. 
Si tratta di milioni di cittadini, molti dei quali già in pensione, ma la maggior parte sul punto di andarci, che impatteranno sul sistema previdenziale dei paesi sviluppati, provocandone con tutta probabilità il collasso. Le conseguenze, secondo la documentata analisi dell’Ap, saranno gravi e prolungate nel tempo, probabilmente per decenni.
La prima sarà l’inevitabile allungamento della vita lavorativa: saremo tutti costretti a lavorare oltre i 65 anni, magari anche oltre i 70, per cercare di mantenere in vita i benefici per gli anziani; la seconda conseguenza, comunque inevitabile nonostante i correttivi, sarà una diffusa povertà tra gli anziani, costretti a fare i conti con pensioni sempre più basse.
Sempre secondo l’articolo, la crisi sarà il risultato di tre elementi: la diminuzione degli assegni pensionistici e l’innalzamento dell’età pensionabile, un processo già in atto in molti paesi che si trovano con enormi buchi di bilancio nel sistema previdenziale; l’eliminazione da parte di molte aziende della previdenza complementare per i dipendenti, troppo onerosa; la perdita del potere d’acquisto e della possibilità di risparmiare da parte dei cittadini colpiti dalla recente crisi economica. “La maggior parte dei paesi del mondo non è pronta a raccogliere la sfida più decisiva del ventunesimo secolo”, si legge in uno studio del Center for Strategic and International Studies di Washington.
Ad aggravare la situazione si aggiunge l’allungamento della vita media: nel 1958 un maschio che abitava in 30 dei 34 paesi Ocse sopravviveva in media 13 anni dopo essere andato in pensione; oggi sopravvive 6 anni in più. L’altra faccia della medaglia riguarda il calo delle nascite nei paesi ricchi, che si traduce ovviamente in minori contribuzioni da parte dei lavoratori in attività al sistema delle pensioni.
Sempre secondo l’Ocse, per salvare il sistema l’età media della pensione dovrebbe innalzarsi dai 63 anni medi globali di oggi ad almeno 66 o 67; nel futuro comunque le pensioni dovranno essere tagliate almeno del 20%. Non deve sembrare troppo. Secondo Standard & Poor’s, se i paesi ricchi non faranno di più per ridurle ancora di più il loro debito pubblico sarà addirittura triplicato nel 2050. Uno scenario difficilmente immaginabile.
Tuttavia, parte della responsabilità è da ascrivere anche ai futuri pensionati, che spesso – soprattutto nei paesi anglosassoni – hanno preferito spendere ed acquistare a rate invece di risparmiare. Negli Stati Uniti, per esempio, le famiglie si sono indebitate per 5,4 miliardi di dollari (+75%) negli anni che hanno preceduto la crisi (2003-2008), riducendo la quota di risparmio dal 13% del reddito dei primi anni 80 al 2% del 2005. Sempre negli USA, gli anziani avrebbero bisogno di 6,8 miliardi di dollari in più sui loro conti correnti per vivere dignitosamente; notizie ancora peggiori, infine, per quelli che in pensione ci andranno tra poco: i capifamiglia tra i 55 e i 64 anni avranno a disposizione ciascuno 113mila dollari in meno di quelli che sarebbero necessari per una vecchiaia serena.