MESSA ALLA PROVA E TUTELA DELLE PARTI OFFESE

Con l’introduzione nel codice penale dell’art.168 bis, inserito dall’art.3 comma 1, della legge 28 aprile 2014 n. 67, si è data la possibilità in relazione ai procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, di chiedere la sospensione del processo con la messa in prova, che prevede un positivo svolgimento di un programma di volontariato di rilievo sociale, in affidamento al servizio sociale.

L’istituto, che può essere concesso per una sola volta, ha positivamente introdotto un alternativo lavoro di pubblica utilità, da svolgersi gratuitamente e in orari che non pregiudichino le esigenze di lavoro, studio o familiari.

Con il successivo art.168 ter c.p. si sancisce che l’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. Naturalmente la norma può essere positivamente valutata, anche perché il 2 comma dell’art. 168 bis c.p., comporta:“ la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato”.

Difficoltà nascono nella prassi giudiziaria, quando la parte offesa, costituitisi parte civile, viene relegata come ininfluente quarto incomodo, fra difesa dell’imputato, PM e Giudice.

L’intervento del Giudice, dovrebbe, infatti sempre tenere presente la corretta congruità dell’offerta risarcitoria, che dovrebbe tenere anche in conto delle spese legali sostenute dalla parte offesa, che non potranno, come nel caso del patteggiamento, essere liquidate, attesa, con il positivo esito della messa in prova, l’estinzione del reato.

Senza un intervento di PM e del Giudice a fronte di offerte spesso irrisorie e/o irriguardose, volto a far riproporre un’offerta minimamente adeguata, si ritiene che possa intervenire solo un rigetto dell’istanza di messa in prova.

Di converso un’ammissione, senza un equo risarcimento, potrebbe determinare una sperequazione di trattamento fra chi ha commesso un reato, in alcuni casi ammesso al gratuito patrocinio, senza un risarcimento alla parte offesa, fornendo la possibilità di risolvere il “proprio problema” e la parte offesa/parte civile, che dovrà pagarsi spese legali e relativi costi, dovendone anticipare altri in sede civile onde trovare ristoro.

Se la deflazione del sistema e l’equilibrio fra fatto reato e pena da applicarsi, passeranno attraverso una interpretazione a senso unico e in disequilibrio fra la tutela degli interessi delle parti, non si avranno decisioni eque.

Alle parti processuali tutte, dunque il compito di una corretta applicazione, che tuteli anche il buon diritto delle parti offese da reato.

Benedetto Tusa, avvocato del foro di Milano