Mons. Mamberti all’OSCE sulla discriminazione dei cristiani

Mons. Mamberti all’OSCE sulla discriminazione dei cristiani

ROMA, martedì, 13 settembre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, il 12 settembre in occasione della tavola rotonda sulla discriminazione dei cristiani («Preventing and Responding to Hate Incidents and Crimes against Christians»), nell’ambito del summit svoltosi a Roma a cura dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).

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Presidente,

Eccellenze,

Signore e Signori,

La Santa Sede è grata alla Presidenza lituana dell’Osce, all’Ufficio per le Istituzioni democratiche e per i diritti umani (Odihr), al Governo italiano, alla città di Roma e a tutti coloro che hanno contribuito all’organizzazione di questo incontro.

La Santa sede è uno Stato che partecipa all’Osce fin dal suo avvio nel 1975 e cerca di contribuire con vigore alle sue attività e ai suoi progetti sia attraverso la partecipazione diretta sia attraverso la sua Missione Permanente a Vienna. A maggio di quest’anno, i tre rappresentanti personali del Presidente in carica per combattere l’intolleranza e la discriminazione hanno svolto la prima visita in Vaticano, un evento questo che ha ulteriormente evidenziato la cooperazione costante fra l’Osce e la Santa Sede.

Una delle ragioni principali di questa Tavola Rotonda è il fatto che la garanzia della libertà di religione è sempre stata, e lo è ancora, al centro delle attività dell’Osce. Fin da quando è stata inclusa nell’Atto Finale di Hensinki del 1975 e riaffermata in termini precisi nei documenti successivi, fra i quali il Documento Conclusivo di Vienna del 1989 e il Documento dell’Incontro di Copenaghen sulla Dimensione Umana dell’allora Csce nel 1990, la tutela della libertà religiosa ha continuato a occupare un posto centrale nell’approccio totale dell’Osce alle questioni relative alla sicurezza.

È in questo contesto che i crimini dettati dall’odio contro i cristiani sono un argomento di particolare interesse per l’Osce in generale, e per la Santa Sede in particolare. Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace 2011, Papa Benedetto XVI ha sottolineato che «I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subiscono quotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità umana; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale».

Si potrebbe obiettare, e a ragione, che i crimini dettati dall’odio contro i cristiani nel mondo, per la maggior parte, si verificano al di fuori dell’area dell’Osce. Tuttavia, ci sono segnali preoccupanti anche in quest’area. Il rapporto annuale sui crimini dettati dall’odio dell’Odihr offre una prova inconfutabile di una crescente intolleranza contro i cristiani. Ignorare questo fatto ben documentato invia un segnale negativo anche a quei Paesi che non sono Stati partecipanti della nostra Organizzazione. È quindi importante suscitare ovunque una nuova consapevolezza del problema. Per questo la Santa Sede accoglie con favore la risoluzione dell’Assemblea Parlamentare dell’Osce, adottata quest’anno, a Belgrado, come passo importante «per avviare un dibattito pubblico sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani» come afferma il documento. È auspicabile che vengano sviluppate misure pratiche per combattere l’intolleranza contro i cristiani come conseguenza di questa Conferenza.

Per prevenire i crimini dettati dall’odio, è essenziale promuovere e consolidare la libertà religiosa, il cui concetto deve essere chiaro fin dall’inizio. Nel suo discorso del 10 gennaio 2011 ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Santo Padre ha sostenuto che il diritto alla libertà religiosa «in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore». Ha anche osservato che oggi, in molte regioni del mondo, il diritto alla libertà religiosa è «spesso messo in discussione o violato» e che «la società, i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendono oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus».

Sulla base di queste premesse, consegue che la libertà religiosa non può limitarsi alla semplice libertà di culto, sebbene quest’ultima sia ovviamente una sua parte importante. Con il dovuto rispetto per i diritti di tutti, la libertà religiosa include, fra gli altri, il diritto a predicare, educare, convertire, contribuire al discorso politico e partecipare pienamente alle attività pubbliche.

La libertà religiosa autentica non è sinonimo di relativismo né dell’idea post-moderna secondo la quale la religione è una componente marginale della vita pubblica. Papa Benedetto XVI ha spesso sottolineato il pericolo di un secolarismo radicale che relega, a priori, tutti i tipi di manifestazione religiosa alla sfera privata. Il relativismo e il secolarismo negano due aspetti fondamentali del fenomeno religioso, e quindi del diritto alla libertà religiosa, che invece esigono rispetto: le dimensioni trascendente e sociale della religione, in cui la persona umana cerca di legarsi, per così dire, alla realtà che la sovrasta e che la circonda, secondo i dettami della propria coscienza. La religione è più di una opinione personale o di Weltanschauung. Ha avuto sempre un impatto sulla società e sui suoi principi morali.

Come ho evidenziato in precedenza, quando parliamo della negazione della libertà religiosa e del suo legame con i crimini dettati dall’odio, di norma pensiamo alle persecuzioni violente di minoranze cristiane in alcune parti del mondo. La Santa Sede è grata all’Osce e ai singoli Stati partecipanti che sono particolarmente attivi nel denunciare l’omicidio o l’arresto di cittadini innocenti, che vengono uccisi o perseguitati solo perché credono in Cristo. D’altra parte, se è vero che il rischio di crimini dettati dall’odio è legato alla negazione della libertà religiosa, non dovremmo dimenticare che vi sono gravi problemi in aree del mondo in cui per fortuna non ci sono persecuzioni violente di cristiani. Purtroppo, atti motivati da pregiudizi contro i cristiani stanno rapidamente divenendo una realtà anche in quei Paesi in cui essi sono la maggioranza.

Papa Benedetto ha fatto riferimento a questo fenomeno nello stesso discorso dello scorso gennaio al Corpo Diplomatico, quando ha detto che, cito, «Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale».

Di certo, nessuno confonderebbe o paragonerebbe l’emarginazione della religione alla persecuzione vera e propria e all’uccisione di cristiani in altre aree del mondo. Questa Conferenza, però, contribuirà senza dubbio a far luce sull’incidenza dei crimini dettati dall’odio contro i cristiani anche in regioni nelle quali l’opinione pubblica internazionale non si aspetterebbe mai che si verificassero. Infatti, questi crimini vengono alimentati invariabilmente in un ambiente in cui la libertà religiosa non viene pienamente rispettata e la religione è discriminata.

Nella regione dell’Osce, siamo ampiamente benedetti dal consenso sull’importanza della libertà religiosa. Per questo è importante continuare a parlare della sostanza della libertà religiosa, del suo legame fondamentale con l’idea di verità, e della differenza fra la libertà di religione e il relativismo che semplicemente tollera la religione pur considerandola con un certo grado di ostilità. Cito di nuovo dal messaggio per la Giornata mondiale della pace 2011: «Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità… Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani».

Proprio questa visione che identifica la libertà con il relativismo o con l’agnosticismo militante e che fa sorgere dubbi sulla possibilità di conoscere mai la verità, potrebbe essere un fattore base dell’aumento del verificarsi di questi incidenti e crimini dettati dall’odio che saranno l’argomento del dibattito di oggi. Che questa Tavola Rotonda, e spero si svolgeranno eventi simili con regolarità, dia nuovo impulso all’opera dell’Osce e dell’Odihr in questo campo.

[© L’Osservatore Romano del 14 settembre 2011]