Nell’incontro del 27 luglio al Teatro Municipale di Rio de janeiro con i Politici, Papa Francesco ha così esortato i presenti:
“Memoria del passato e utopia verso il futuro si incontrano nel presente, che non è una congiuntura senza storia e senza promessa, ma un momento nel tempo, una sfida per raccogliere saggezza e saperla proiettare. Quanti, in una Nazione, hanno un ruolo di responsabilità, sono chiamati ad affrontare il futuro “con lo sguardo calmo di chi sa vedere la verità”(…) ”
“Vorrei condividere con voi tre aspetti di questo sguardo calmo, sereno e saggio: primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente.”(…)
“Il comune sentire di un popolo, le basi del suo pensiero e della sua creatività, i principi fondamentali della sua vita, i criteri di giudizio in merito alle priorità, alle norme di azione, si fondano, si fondano e crescono su una visione integrale della persona umana.”(…)
“Un processo che fa crescere l’umanizzazione integrale e la cultura dell’incontro e della relazione; questo è il modo cristiano di promuovere il bene comune, la gioia di vivere. E qui convergono fede e ragione, la dimensione religiosa con i diversi aspetti della cultura umana: arte, scienza, lavoro, letteratura…
1) Il cristianesimo unisce trascendenza e incarnazione; per la capacità di rivitalizzare sempre il pensiero e la vita, di fronte alla minaccia della frustrazione e del disincanto che possono invadere i cuori e si diffondono nelle strade.
2) Un secondo elemento che vorrei toccare è la responsabilità sociale. Questa richiede un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica. Siamo responsabili della formazione di nuove generazioni, di aiutare ad essere capaci nell’economia e nella politica, e ferme sui valori etici. Il futuro esige oggi l’opera di riabilitare la politica, riabilitare la politica, che è una delle forme più alte della carità. Il futuro esige anche una visione umanista dell’economia e una politica che realizzi sempre più e meglio la partecipazione della gente, eviti gli élitarismi e sradichi la povertà. Che nessuno sia privo del necessario e che a tutti sia assicurata dignità, fratellanza e solidarietà: questa è la strada proposta. Già ai tempi del profeta Amos, era molto frequente l’avvertimento di Dio: «Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali […] calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri» (Am 2,6-7). Le grida che chiedono giustizia continuano ancor oggi. Chi ha un ruolo di guida, permettetemi che dica, chi la vita ha unto come guida, deve avere obiettivi concreti e ricercare i mezzi specifici per raggiungerli, ma anche ci può essere il pericolo della disillusione, dell’amarezza, dell’indifferenza, quando le aspirazioni non si realizzano. Qui faccio appello alla dinamica della speranza che ci spinge ad andare sempre oltre, a impiegare tutte le energie e le capacità in favore delle persone per cui si opera, accettando i risultati e creando condizioni per scoprire nuovi percorsi, donandosi anche senza vedere risultati, ma mantenendo viva la speranza, con quella costanza e coraggio che nascono dall’accettazione della propria vocazione di guida e di dirigente. E’ proprio della leadership scegliere la più giusta delle opzioni dopo averle considerate partendo dalla propria responsabilità e dall’interesse del bene comune; per questa strada si va al centro dei mali della società per vincerli anche con l’audacia di azioni coraggiose e libere. E’ nostra responsabilità, pur sempre limitata, questa comprensione di tutta la realtà, osservando, soppesando, valutando, per prendere decisioni nel momento presente, ma allargando lo sguardo verso il futuro, riflettendo sulle conseguenze delle decisioni. Chi agisce responsabilmente colloca la propria azione davanti ai diritti degli altri e davanti al giudizio di Dio. Questo senso etico appare oggi come una sfida storica senza precedenti, dobbiamo cercarlo, dobbiamo inserirlo nella stessa società. Oltre alla razionalità scientifica e tecnica, nella situazione attuale si impone il vincolo morale con una responsabilità sociale e profondamente solidale.
3) Per completare questa riflessione, oltre all’umanesimo integrale che rispetti la cultura originale e alla responsabilità solidale, ritengo fondamentale per affrontare il presente: il dialogo costruttivo. Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media, quando dialogano. È impossibile immaginare un futuro per la società senza un forte contributo di energie morali in una democrazia che rimanga chiusa nella pura logica o nel mero equilibrio di rappresentanza di interessi costituiti. Considero anche fondamentale in questo dialogo il contributo delle grandi tradizioni religiose, che svolgono un fecondo ruolo di lievito della vita sociale e di animazione della democrazia. Favorevole alla pacifica convivenza tra religioni diverse è la laicità dello Stato, che, senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza della dimensione religiosa nella società, favorendone le sue espressioni più concrete. Quando i leader dei diversi settori mi chiedono un consiglio, la mia risposta sempre è la stessa: dialogo, dialogo, dialogo. L’unico modo di crescere per una persona, una famiglia, una società, l’unico modo per far progredire la vita dei popoli è la cultura dell’incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di buono da dare e tutti possono ricevere qualcosa di buono in cambio. L’altro ha sempre qualcosa da darmi, se sappiamo avvicinarci a lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi. Questo atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi, lo definirei come “umiltà sociale” che è ciò che favorisce il dialogo. Solo così può crescere una buona intesa fra le culture e le religioni, la stima delle une per le altre senza precomprensioni gratuite e in un clima di rispetto per i diritti di ciascuna. Oggi, o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo, tutti perdiamo. Per di qui va il cammino fecondo.”