Putin, Obama e la prossima Terza guerra mondiale
Circola su Youtube un video in cui si vede Putin che affronta gli azionisti di una fabbrica, magnati russi che intendono chiudere perché divenuta scarsamente profittevole. Riunione ristretta. Putin, in giubbotto informale, dice senza mezzi termini che se i proprietari si mettono d’accordo, bene, altrimenti ci penserà lui: la fabbrica non chiuderà, punto e basta. Nessuno fiata. Putin guarda un documento che ha sul tavolo e chiede chi l’abbia firmato. Si alza una timida mano. Putin ribatte che la firma non la vede. Poi, senza attendere risposta, ordina: venga qui e firmi. Quello, coda tra le gambe, va al tavolo ed esegue. Fa per andarsene, ma Putin lo blocca: mi ridia la penna. La penna viene restituita in un silenzio di tomba. Fine del video.
In Occidente ci si lamenta perché la politica è asservita all’economia e i Padroni del Vapore comandano a bacchetta i politici. La Russia, piaccia o no, sta dimostrando di essere una democrazia nel senso pieno del termine, quel senso che aveva una volta e che ormai in Occidente non ha più, essendo diventata, la nostra, tecnocrazia. Per esempio, nella conclamata e tronfia democrazia a stelle e strisce la volontà popolare conta sempre meno. Anzi, non conta più. Qualunque referendum venga indetto e qualunque ne sia il risultato, se quest’ultimo spiace ai Poteri Forti ci pensano i giudici a cambiarlo con le cattive. E i Poteri Forti non sono altro che i Soldi, punto e basta. Chi li ha, detta l’agenda e fa eleggere chi tale agenda è disposto a seguire. Obama, per esempio: quando la sua rielezione fu in serio rischio, si presentò alla maggior catena mediatica statunitense e dichiarò che, se rieletto, avrebbe introdotto le nozze gay. In meno di quaranta minuti la sua organizzazione elettorale si trovò sommersa di donazioni in denaro sonante.
Putin, invece (ripeto: piaccia o no), è stato eletto dal suo popolo, continuamente riconfermato e sempre graditissimo nei sondaggi. Per quanto riguarda i Poteri Forti di casa sua, il video di cui sopra dimostra chi è che comanda in Russia. L’amministrazione Usa demonizza Putin e usa con lui linguaggi e minacce che mai si sognerebbe con la Cina, che è e rimane una dittatura comunista, che non tollera nozze gay, rivendicazioni etniche e religiose, che inquina anche al di là del suo territorio e che i musulmani li tratta a pedate. La verità è che il complesso militar-industriale americano (gli Usa sono stati definiti –scherzando ma non troppo- «una società per azioni armata») non teme la Cina quanto teme, ed ha sempre temuto, un asse economico Germania-Russia.
Già ai tempi degli zar funzionava così: la Russia ci metteva le braccia e le immense risorse, mentre i tedeschi ci mettevano i cervelli. Nella Russia zarista anche i professori di liceo erano tedeschi. L’asse economico russo-tedesco era potenzialmente in grado di creare una superpotenza continentale che avrebbe buttato fuori gioco tutti gli altri. Per questo Napoleone, dopo essersi impadronito della Germania, cercò di prendere la Russia. L’Inghilterra, che sarebbe rimasta tagliata fuori, reagì con disperazione. Gli Usa, che hanno ereditato la politica estera inglese, intervennero nella Grande Guerra solo quando questa minacciò di volgere a favore della Germania. E di nuovo vent’anni dopo.
Oggi, tutte le destabilizzazioni mediorientali e nordafricane hanno il vantaggio (per gli Usa) di creare problemi ai rifornimenti energetici europei. Lo stesso dicasi per la crisi ucraina, volta a impedire che l’approvvigionamento lo si cerchi dai russi. Per un momento la mediazione berlusconiana a Pratica a Mare fu a un passo dal fare entrare la Russia nella Nato, così da realizzare il sogno di Wojtyla sui “due polmoni” dell’Europa, dall’Atlantico agli Urali. Sappiamo come è andata a finire e chi è che ha mandato tutto a gambe all’aria. Non vorrei fare l’apocalittico, ma la Madonna a Civitavecchia ha parlato di una Terza guerra mondiale, e nucleare, tra Oriente e Occidente. Dio ne scampi, ma i sintomi ci sono tutti. Chi soffia sul fuoco, infatti, sa bene che, come le precedenti, verrebbe combattuta su suolo altrui. Cioè, nostro.
Dalla bussola quotidiana