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Sei referendum per una giustizia più giusta. Mattia Feltri arruolato: non credete a quello che diranno le toghe

Giugno 10, 2013 Mattia Feltri

Dalla responsabilità civile dei giudici alla separazione delle carriere. Le toghe si opporranno evocando sospetti intenti punitivi nei confronti della categoria, ma non è così

magistrati-togheNel 2000, alla vigilia dei referendum che fra l’altro proponevano la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, e la correzione degli incarichi extragiudiziari per i magistrati, Silvio Berlusconi sostanzialmente disse: non prendetevi l’incomodo di andare a votare perché tanto la riforma complessiva della giustizia la faccio io. Poi non la fece e così non soltanto le riforme le promette da vent’anni e non ne porta a casa una, ma boicotta le altrui, nel caso quelle proposte dai radicali di Marco Pannella a suffragio universale. In questo sciagurato e simpatico paese, l’unico modo di cambiare qualcosa, o di provarci, è per via referendaria. Lo si vede in questi giorni in cui si discute di presidenzialismo e semipresidenzialismo, di riduzione dei parlamentari, di superamento del bicameralismo perfetto, cioè di temi istituzionali che negli ultimi trent’anni hanno impegnato tre commissioni bicamerali, trecento dibattiti e tremila articoli, il primo dei quali – a memoria di cronista – venne pubblicato sull’Avanti! nel 1979 a firma di Bettino Craxi. Le grandi riforme della nostra vita – dal divorzio all’aborto sino al sistema elettorale maggioritario su cui per qualche tempo ha poggiato la Seconda repubblica – sono arrivate giusto per via referendaria e tante altre, dall’abolizione del ministero dell’Agricoltura a quella dei contributi statali ai partiti, o l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati in coda al caso di Enzo Tortora, sono state cancellate con successive leggi truffaldine o bizzarre interpretazioni che hanno reintrodotto le norme abrogate.

Ora i radicali ci riprovano e hanno chiesto a chi scrive di far parte del comitato promotore e chi scrive ha accettato, compiendo il primo atto politico ufficiale della sua carriera di giornalista, con convinzione. Lo ha fatto, lo ho fatto, sperando che dalle fumisterie che mi stanno drammaticamente accompagnando dalla gioventù alla mezza età, spunti qualcosa di concreto su cui ragionare. Spiego perché. I referendum sono sei e riguardano: la responsabilità civile dei magistrati (due quesiti), la separazione delle carriere, gli incarichi extragiudiziari, la revisione della custodia cautelare e l’abolizione dell’ergastolo. Ognuno dei quesiti sarà contrastato (tranne forse quello sull’ergastolo) dalla corporazione togata per sospetti intenti punitivi nei confronti della categoria. Non è così, ed è la premessa necessaria. L’introduzione della responsabilità civile, nella sua forma più ampia, prevede che i magistrati rispondano anche con risarcimento danni degli errori commessi; oggi ne risponde lo Stato ma soltanto nei casi più gravi, e con cifre risibili, rifacendosi poi sul magistrato se ce ne sono gli estremi, e ci sono stati forse un paio di volte in venticinque anni. Il magistrato svolge un lavoro così delicato e offre un così alto servizio allo Stato che chiedergli di riparare con esborso di denaro a ogni errore significherebbe renderlo disarmato; e però introdurre sistemi progressivi e severi di blocco delle carriere e di riduzione dello stipendio in riparazione alle colpe più gravi, o alle sciatterie più evidenti, cosa che oggi non succede, sarebbe una concessione a un sentimento di giustizia ampiamente insoddisfatto. Anche in memoria di Enzo Tortora.

La separazione delle carriere a me sembra il minimo indispensabile. Sarei per la separazione dei palazzi: i giudici in un palazzo e i magistrati inquirenti in un altro, possibilmente in un quartiere non confinante. Da cronista ho visto pubblici ministeri andare al bar sottobraccio al gip (giudice delle indagini preliminari) che stava valutando alcune loro inchieste. Si ricorda lo splendido caso di un gip di Milano che al collega della procura mandò un biglietto che diceva grosso modo così: caro Tonino, non posso concederti l’arresto di Tal dei Tali perché per quel reato è già finito dentro, quindi devi individuarne un altro. Tonino avete già capito chi è.

Il rapporto tra giudici e pm
In un paese appena civilizzato esistono dei giudici che dirimono controversie fra accusatori e difensori senza avere niente da spartire con gli uni o gli altri. In un mondo perfetto, invece, ottenuta la separazione delle carriere si procederebbe con un restringimento rigido della custodia cautelare. Nelle nostre prigioni sono ospitate (diciamo così) quasi 66 mila persone – malgrado la capienza sia di 47 mila – di cui oltre 24 mila in attesa di giudizio. Quindi innocenti secondo la Più Bella del Mondo, la nostra Costituzione secondo l’approvatissima definizione di Roberto Benigni. Col referendum si intende escludere il pericolo di reiterazione del reato, nel caso di reati meno gravi, fra quelli per cui si può infliggere la carcerazione preventiva (resterebbero pericolo di fuga e di inquinamento delle prove). Forse si ridurrebbe un po’ il ricorso a una misura cautelare che col tempo è evoluta (o involuta) a metodo di indagine (se parli, esci) o di impropria pena pregiudiziale, cioè prima del giudizio.

A proposito, la Più Bella del Mondo prevede che l’esecuzione delle condanne sia conforme a umanità (visto l’affollamento, lasciamo perdere) e tenda al recupero del condannato. Se si intende recuperare il condannato, e cioè recuperarlo alla vita civile, l’ergastolo non ha alcun senso di esistere, e infatti il sesto è un quesito che ha l’obiettivo di ufficializzare uno status quo: quasi nessuno ormai resta in cella fino alla fine naturale dei suoi giorni. E tutte queste belle riforme sarà complicato ottenerle se tanti magistrati continueranno ad avere incarichi fuori ruolo nel Parlamento (Piero Grasso è presidente del Senato, e due magistrati sono presidenti delle due Commissioni giustizia) o nei ministeri (a decine), dove loro stessi, dedicandosi alla contesa di fazione, mettono a repentaglio l’indipendenza di cui godono per dettato costituzionale, e dove hanno gli strumenti per intercettare, bloccare o modificare qualsiasi legge coinvolga la loro casta.

Ps. Nel comitato promotore dei referendum sulla Giustizia, molto trasversale, non ci sono parlamentari berlusconiani. Però forse, stavolta, Berlusconi consiglierà di andare a votare.