Ncd in piazza Serve un Partito della Famiglia di Massimo Introvigne
Dopo il lancio dell’iniziativa del Family Act (la manifestazione per la famiglia indetta dal Nuovo Centro Destra per il 15 novembre a Roma) e il dibattito apertosi sull’opportunità o meno della partecipazione, ospitiamo oggi l’intervento di Massimo Introvigne che, in questa occasione, presenta la posizione di Alleanza Cattolica e i comitati Sì alla Famiglia.
Il direttore di questa testata, Riccardo Cascioli, ha auspicato un vasto confronto sulla manifestazione Family Act promossa dal Nuovo Centrodestra il prossimo sabato 15 novembre a Roma. Partecipo volentieri, anche perché rappresento due realtà – Alleanza Cattolica e i comitati Sì alla famiglia – che hanno aderito alla manifestazione.
Ci muoveremo nello spazio in cui si esprimeranno esponenti di associazioni e movimenti, e ribadiremo quello che nell’invito che ci è stato rivolto è comunque chiaro, cioè che l’adesione alla manifestazione non significa un appoggio a uno specifico partito, che sarebbe estraneo e perfino contrario alle caratteristiche statutarie sia di Alleanza Cattolica, realtà ecclesiale riconosciuta dalla Chiesa come associazione privata di fedeli con personalità giuridica, sia dei comitati Sì alla famiglia, che dichiarano di voler collaborare con i partiti politici che ne condividano le finalità senza però identificarsi con alcuno di essi.
Nel mondo della politica italiana in tema di famiglia si muove molto poco. Che si muova qualcosa è positivo. Nessun partito, neppure il Nuovo Centrodestra, si è mosso in Parlamento seguendo in modo unanime e integrale la piattaforma di Sì alla famiglia – contraria, per esempio, a qualunque forma di legalizzazione o liberalizzazione delle droghe cosiddette leggere e a ogni tipo di divorzio breve o brevissimo – ma è giusto dare merito a parlamentari come Alessandro Pagano, Eugenia Roccella e Maurizio Sacconi (ne dimentico senz’altro altri, ma con questi abbiamo avuto più spesso a che fare) di avere condotto battaglie coraggiose e tempestive.
Vorrei però intervenire con una considerazione più generale. Interventi pregevoli di politologi come Giovanni Orsina e Luca Ricolfi, e di giornalisti come Salvatore Merlo e Marcello Veneziani – senza che io condivida completamente ogni loro singola argomentazione – da parecchie settimane hanno inserito il centro-destra italiano fra i defunti appena commemorati il 2 novembre. Riassumendo all’osso le loro considerazioni, una mappa del centro-destra include anzitutto Forza Italia, sempre più partito personale di Berlusconi, quotato nei sondaggi – che sbagliano spesso, ma in questi casi forse non di molto – intorno al quindici per cento e destinato come tutti i partiti personali a perdere sempre più punti percentuali quanto più il capo, che già non è giovanissimo, invecchierà. Inoltre su tutta una serie di temi che stanno a cuore agli elettori di centro-destra – il caso delle unioni civili omosessuali è clamoroso, ma non è l’unico – Forza Italia si schiera spesso con la sinistra.
Nuovo Centrodestra, UDC, Fratelli d’Italia hanno su alcuni temi posizioni più chiaramente identificabili come di centro-destra, ma viaggiano nei sondaggi – che forse li sottovalutano – a percentuali variabili fra l’uno e il tre per cento, cioè sotto il quorum che consentirebbe di essere rappresentati in Parlamento, tanto più secondo l’Italicum di Renzi che abolisce i premi di coalizione, il «migliore dei peggiori» e altri marchingegni che hanno salvato alcuni di loro in precedenti elezioni. Se con sforzi eroici riuscissero a raggiungere il quorum, avrebbero una pattuglia di parlamentari da contare sulle dita di due mani, forse di una sola. Inoltre il loro personale politico è percepito come vecchio, peccato mortale in un elettorato educato dalla pedagogia di Renzi al culto del nuovismo e della rottamazione. L’unica formazione premiata dai sondaggi è la Lega, che però è un partito macro-regionale – nonostante interessanti scorribande nell’Italia Centrale – e non nazionale, e ha un programma talmente massimalista da non potere oltrepassare una certa soglia di consensi, che deve tra l’altro strappare uno a uno a Grillo. Anche la Lega, poi, più che come un tradizionale partito di destra, appare come un movimento localista dove il localismo fa spesso premio sulle idee, tanto che il suo leader può esprimere giudizi positivi sulla Corea del Nord senza che nessuno dall’interno del movimento gliene chieda conto.
Io penso che le parole abbiano un senso, e che in Italia – come del resto hanno scritto Orsina e Ricolfi – manchi ormai una vera destra. Ma che cos’è la destra? Il paziente lettore mi perdonerà se gli rammento che è nella Sacra Scrittura che troviamo l’origine delle espressioni «destra» e «sinistra». Un commentario alle lettere di san Pietro e alla lettera di san Giuda spiega che dopo l’Ascensione «Cristo è ormai “alla destra” di Dio. Per comprendere tale posizione bisogna ricordare la valenza positiva della “destra” nella Scrittura e nella civiltà antica e il significato negativo della sinistra. […] [Nella Scrittura] la destra assume il significato di lato positivo, fortunato, salvifico, divino, mentre la sinistra assume significato negativo, maledetto e satanico; così i salvati-benedetti saranno collocati da Gesù alla destra e i maledetti alla sinistra (cfr. Mt 25, 31-46)» (Michele Mazzeo, «Lettere di Pietro, Lettera di Giuda», Paoline, Milano 2002, p. 141).
Non è dunque un caso se dopo la Rivoluzione Francese, restaurata la monarchia, coloro che si opponevano ai principi rivoluzionari andarono a occupare la parte destra dei banchi del Parlamento e coloro che accettavano tali principi o almeno non li condannavano radicalmente la parte sinistra, così dando origine ai moderni concetti politici di «destra» e «sinistra». Agli inizi del secolo XIX che cosa queste parole volessero significare era dunque chiaro. Era di destra chi si opponeva ai principi della Rivoluzione Francese. Era di sinistra chi non vi si opponeva.
La destra non era costituita da semplici nostalgici della monarchia così com’era esistita prima del 1789. Questa monarchia soffriva già dei morbi dell’assolutismo e del centralismo, che la Rivoluzione non avrebbe curato ma esasperato. L’ordine cristiano della monarchia tradizionale – che è cosa ben diversa dalla monarchia assoluta – riconosceva che sopra al sovrano c’è un limite costituito dalla legge di Dio e dalla legge naturale. Il sovrano non può emanare norme che contraddicano la legge iscritta da Dio nella natura: se lo fa, non si tratta di vere leggi né si è tenuti a rispettarle. Se rispetta questo limite in alto, il sovrano rispetterà anche un limite in basso, costituito dai diritti non del «cittadino» astratto, invenzione dell’Illuminismo, ma delle persone concrete riunite in comunità e corpi intermedi, compresi i lavoratori dei campi e delle fabbriche, ben più tutelati dopo la Rivoluzione Francese dalla destra tradizionale che dalla sinistra liberale, espressione della borghesia e di un padronato avido e poco illuminato.
Dunque la destra non si caratterizza solo per un momento negativo – il rifiuto della Rivoluzione Francese e dei suoi princìpi – ma anche per un momento positivo che fa riferimento in alto alla legge naturale, il cui autore è Dio, e in basso ai diritti della persona, di chi lavora, dei corpi intermedi e delle comunità locali garantiti appunto dal rispetto della legge naturale.
Se per «Rivoluzione» intendiamo non solo la Rivoluzione Francese, ma un processo più ampio che nega la legge naturale iniziato ben prima del 1789 e che continua fino ai nostri giorni, la geografia della politica diventa più chiara. A mano a mano che il processo rivoluzionario va avanti, nascono – come ha insegnato lo storico e politologo francese René Remond – «nuove destre», che il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira chiamava, con un giudizio di valore, «false destre». La «seconda destra» di Remond è costituita da coloro che accettano i principi liberali nella loro versione del 1789 ma rifiutano il socialismo. E con l’affermazione del marxismo-leninismo nel secolo XX nasce anche una «terza destra», costituita da quei socialisti che rifiutano il comunismo, pur mantenendo fermi numerosi elementi del pensiero socialista.
La questione si complica con il «fusionismo». Spesso si pensa che questa espressione sia nata negli Stati Uniti per designare l’idea di mettere insieme tutte le possibili «destre» per sconfiggere la sinistra. In realtà nacque già tra i monarchici francesi alla fine del secolo XIX, dalla proposta della famiglia Orléans di riunire tutti i monarchici – che fossero cattolici ostili al 1789, liberali disposti a difendere almeno alcuni aspetti della Rivoluzione Francese e anche massoni e anticlericali – intorno al comune progetto di restaurare la monarchia in Francia. I fascismi sono, a loro modo, «fusionismi» che cercano di mettere insieme destre diverse: quella antica DOC e quelle nuove o «false». Il berlusconismo degli anni d’oro è stato un altro esempio di «fusionismo». I cartelli elettorali «fusionisti» spesso funzionano, e certo spesso le elezioni si possono vincere solo mettendo insieme i diversi tipi di destra. Ma tutto dipende da quale forza esercita l’egemonia sul cartello «fusionista». Con Berlusconi questa egemonia è stata esercitata da un politico pragmatico che faceva riferimento alla «seconda destra» liberale. Oggi slitta – come altre forze europee che si dicono di centro-destra – verso una «terza destra» disposta ad accettare anche elementi del progetto politico della sinistra.
Oggi in Italia Berlusconi non è più in grado – per ragioni legate ai suoi problemi personali e anche più semplicemente alla sua anagrafe – di alzare una tenda «fusionista» sotto cui si raccolgano tutte le destre in una coalizione elettorale da lui egemonizzata per sconfiggere la sinistra, anzi non è nemmeno più chiaro se sconfiggere la sinistra faccia parte dei suoi piani. Non ci sono più tende, e le alternative di fronte alla destra italiana sono sostanzialmente tre.
La prima è lasciare le cose come stanno: lasciare cioè la fiaccola di una presenza diversa – non necessariamente alternativa – all’egemonia del PD in Parlamento sostanzialmente a Berlusconi e a chi continuerà a utilizzare il suo cognome e il suo marchio, magari uno dei suoi figli. Gli altri partiti sono destinati a finire nel tritacarne dell’Italicum, o comunque si chiamerà, e a ridursi a proporzioni poco più che simboliche. La fiaccola berlusconiana farà ben poca luce, resterà minoranza consapevole di non poter diventare maggioranza, e non rappresenterà neanche i valori e gli ideali di destra, perché un miscuglio fra seconde e terze destre per definizione non rappresenta la prima destra e il primato dell’ordine naturale.
La seconda è affidarsi al movimentismo della Lega, versione di destra dei «movimenti popolari» principalmente latino-americani che si sono riuniti in Vaticano e il 28 ottobre sono stati ricevuti da Papa Francesco. Molte delle rivendicazioni concrete della Lega sono giuste, e questo vale – nella misura in cui sono concrete e non catturate dalle ideologie – anche per le richieste – fognature nei quartieri, strade asfaltate, scuole e sanità che funzionino – dei «movimientos» ricevuti dal Pontefice, richieste che hanno almeno la funzione utile di spiazzare le «sinistre champagne» alla Obama o alla Renzi. Tuttavia sulla base di rivendicazioni localiste non si costruisce l’egemonia e non si vincono le elezioni, almeno in Italia, né l’utopia dell’uscita dall’euro e dall’Europa può portare la Lega molto lontano, e anzi spaventa molti elettori d’accordo con altre parti del suo programma (so che un certo numero di lettori non la pensa così, e infatti vota Lega: ma resto convinto che non si tratti della maggioranza degli elettori italiani che non si considerano di sinistra).
La terza alternativa è che emerga qualcosa di completamente nuovo, recuperando come fece Berlusconi del 1994 una parte – piccola, però – del personale politico di centro-destra esistente e proponendo un’agenda chiara, e chiaramente di destra, su tutti i temi, dalla politica estera all’economia fino alla vita e alla famiglia – formazioni che si occupano di un solo tema sono destinate a perdere, come dimostra l’avventura della lista anti-abortista di Giuliano Ferrara – e ripartendo dalla società civile. Non però per testimoniare, ma per vincere. Perché la testimonianza si fa in chiesa e tra gli intellettuali. Chi gioca la partita della politica deve giocare per vincere e non per testimoniare. Ci sarebbe anche il nome, Partito delle Famiglie, non perché dovrebbe occuparsi solo di famiglia – sarebbe un errore fatale – ma perché la famiglia è comunque, come insegna Papa Francesco, il motore della società e della storia.
I movimenti cattolici che si riconoscono nei principi della legge naturale dovrebbero essere azionisti di questo nuovo progetto. Non si tratta, naturalmente, di affermare che solo un cattolico o un credente può essere «di destra» – se il termine «destra» appare obsoleto, se ne può perfino usare un altro -, né di arruolare la dottrina sociale della Chiesa al servizio delle scelte tecniche di una parte politica, il che sarebbe sbagliato e arbitrario. Certo è un fatto storico che la destra nasce cattolica, ma la legge naturale è accessibile alla ragione umana anche a prescindere dalla fede e quindi s’impone a ogni uomo dotato di retta ragione: che sia credente o non credente, che sia cattolico, ebreo o buddhista. Se le parole hanno un senso, chi riconosce la legge naturale è di destra e chi non la riconosce è di sinistra.
Andremo dunque in piazza con il Nuovo Centrodestra il 15 novembre, non per sostenerlo in quanto partito ma per sperare che s’inneschino processi capaci di dare il via, certo non domani mattina, a qualcosa di nuovo che trascenda i partiti esistenti, a beneficio degli italiani di buona volontà, compresi quei buoni politici che oggi militano nel Nuovo Centrodestra. Sono consapevole di avere lanciato una sfida a chiunque voglia raccoglierla. La sfida passa anche per il 15 novembre, ma certo non si ferma lì.
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