Stepchild adoption: i silenzi della Cassazione

Pubblichiamo un primo commento – redatto in esclusiva per questo sito – alla sentenza della 1^ sezione civile della Corte di Cassazione del 22 giugno 2016 in tema di step child adoption, a firma del consigliere Alfredo Ruocco, del Centro studi Livatino.

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Ciò che sorprende leggendo la recente sentenza della I sezione Civile della Corte di Cassazione sulla cd stepchild adoption (Cass. Sez I, 26/5/2016- 22/6/2016 n. 12962) non sta tanto nella conclusione – che poteva prevedersi tenendo conto di alcune pronunce di quella Sezione su temi connessi – ma sta nei mancati riferimenti, da parte della Corte di legittimità, di alcuni elementi, sia di fatto che di diritto, utili a comprendere, per chiunque interessato alla vicenda, se e fino a che punto siano stati valutati e considerati i diritti e  l’interesse del minore coinvolto.

Va subito detto che, pur dopo la lettura della motivazione della sentenza, non si comprendono le ragioni di fatto della mancata nomina da parte della Corte (e dei giudici di merito) di un curatore speciale per il minore oggetto della richiesta adozione; tale nomina era stata richiesta, non va sottaciuto, da un Organo (P.M.) espressamente preposto, nel procedimento di adozione, alla tutela dell’interesse pubblico; nel caso di specie non pare che il minore avesse l’eta per il discernimento e il contraddittorio era di fatto monco dalla sua parte, ove si consideri che, da un lato vi erano la ricorrente e la madre del minore (aventi interessi convergenti all’adozione richiesta dalla prima) e, dall’altro, vi era la persona del minore (oggetto della pretesa adozione), privo della necessaria assistenza ovvero di un suo rappresentante il quale, se nominato, avrebbe potuto anche chiedere, nell’interesse del minore, aderendo all’istanza del P.M., il rigetto della domanda della ricorrente (con conseguente rifiuto della domanda di adozione ).

Devesi, poi, sgombrare il campo da un equivoco in cui facilmente potrebbe incorrere il lettore della sentenza, e nel quale sono, invero, incorsi numerosi massmedia: nel caso in esame non era in discussione il fatto se il minore fosse amato e curato dalla madre e dalla sua compagna; era incontroverso il suo interesse al mantenimento della relazione affettiva con la madre e la sua compagna, anche in ragione della stabilità del rapporto, instaurato fin dalla sua nascita : trattavasi, invece – ed esclusivamente – di valutare se sussistessero o meno, nel caso in esame, i presupposti legali per il riconoscimento del diritto preteso dalla ricorrente (compagna della madre della minore) all’ adozione di quest’ultima (con tutti i conseguenti effetti, dall’aggiunta del cognome, a quelli relativi allo stato civile): questo era, per dirla tecnicamente, il petitum della causa, null’altro .

Ciò chiarito, lascia, a tal punto, perplessi, come si accennava, il silenzio nella sentenza su alcune circostanze indispensabili per la piena comprensione della vicenda e per la valutazione della posizione e dell’ interesse del minore coinvolto.

La Corte non prendeva, anzitutto, in considerazione l’ origine della vicenda, benchè legata alla causa petendi della controversia, sottoposta al suo esame .

Non è riportato, invero, nella sentenza, il fatto che fin dall’inizio della vicenda l’interesse della ricorrente e della sua compagna   non aveva riguardo ai diritti del minore e al suo “preminente interesse” (più volte richiamato nella sentenza, ai fini della domanda di adozione) ma, al contrario, si aveva esclusivo riguardo al desiderio delle due donne di allevare insieme il figlio di una di loro (la madre veniva individuata non già per il suo personale desiderio di maternità e/o di filiazione ma soltanto “per le maggiori probabilità di successo ” della tecnica adoperata, come si legge nel richiamo riportato a pag 3 della sentenza)

Tale interesse, strettamente personale alle due donne, veniva soddisfatto – anche su questo tace la Corte di legittimità – mediante aggiramento del divieto del ricorso alla procreazione medicalmente assistita vigente nel nostro ordinamento (recandosi all’estero e ivi ricorrendo la futura madre all’ inseminazione artificiale da uno sconosciuto donatore)

Tace, altresì, la Corte, nella sentenza di cui trattasi, sul fatto che, mediante tali condotte  – si ripete, contra legem per il nostro ordinamento e dettate da una visione esclusivamente adultocentrica dei rapporti – i diritti riconosciuti al minore non venivano solo pretermessi ma palesemente violati ove si consideri che egli veniva concepito con l’espresso intento di farlo crescere “orfano” di padre, privato, cioè, sia della relazione affettiva con il genitore dell’altro sesso (discriminandolo, di fatto, rispetto agli altri bambini) – con tutte le conseguenze, anche ai fini del corretto sviluppo della sua personalità (ma non è questa la sede per soffermarvisi) – sia del suo diritto “alla verità” e contro l’interesse a conoscere le proprie origini.

Con riferimento ai diritti violati del minore la sentenza omette di menzionare, pur richiamando alcune Convenzioni internazionali, la prima “Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo” (O.N.U., 20 novembre 1959) che già all’epoca faceva espresso riferimento al diritto del minore di “crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori” individuando “in primo luogo” nei suoi genitori i soggetti “responsabili della sua educazione e del suo orientamento” (principi sesto e settimo); poi, pur richiamando la sentenza (pag 16) gli artt. 3 e 12 della successiva “Convenzione sui diritti del Fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176” (per sostenere il rigetto della nomina del curatore speciale per il minore, richiesta dal P.G.) sorvola sul fatto che tale Convenzione, trattando del preminente interesse del minore, ribadisce, espressamente, tra i diritti fondamentali del fanciullo quello di “conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi“(art. 7) che “non sia separato dai suoi genitori” (art. 9 co 1), di “intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori ” (art 9 co 3 e 10 co 2 ) concludendo con l’invito agli Stati a ” garantire il riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo … ”  .

Trattasi, all’evidenza, di diritti (quelli menzionati in queste ed altre Carte internazionali)   che sono stati preclusi al minore oggetto della richiesta adozione per volontà dello stesso soggetto (compagna della madre) che ha richiesto e infine ottenuto (definitivamente, con la sentenza in commento) il riconoscimento dell’adozione .

Non convince, del resto, l’interpretazione estensiva fatta dalla Corte in ordine al disposto del controverso art. 44 comma 1 lett d) Legge n.184/1983 .

Va rammentato che per evitare che nella propria delicata attività ermeneutica il giudice possa dire “tutto e il contrario di tutto” e il rischio di deriva nelle cd sentenze creative (purtroppo sempre più diffuse, specie sui temi eticamente sensibili trattati dalla I Sezione civile della Suprema Corte) l’interprete, come è ben noto, deve rimanere ancorato ai criteri espressamente fissati dall’art 12 delle Preleggi (nell ‘applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse , e dalla intenzione del legislatore . Solo in caso di dubbio è possibile il ricorso a casi e materie analoghe e principi generali dell’ordinamento) .

Orbene, sia il P.M. appellante che il P.G. ricorrente nei primi due gradi di giudizio, hanno esaustivamente illustrato le ragioni secondo le quali la lettera e la ratio legis della norma inducono a ritenere il caso in esame estraneo alle altre ipotesi di adozione particolari previste dal predetto art 44 lett d) ed appare, dunque, ultroneo riportarne, in questa sede, le considerazioni espresse (in linea, peraltro, con una parte, minoritaria, della giurisprudenza di merito), rammentando,comunque, i limiti alla interpretazione estensiva derivanti dalla natura eccezionale o derogatoria di norme come quella in questione .

Non si comprende, a tal punto, stante la complessa, delicata e controvertibile attività di interpretazione nonchè la massima importanza ai fini della decisione della causa nonchè il notevolissimo rilievo massmediatico della vicenda e i suoi inevitabili riflessi su posizioni analoghe a quella della ricorrente, perchè la Corte abbia ritenuto di rigettare la richiesta del P.G. finalizzata alla trattazione della causa da parte delle Sezioni Unite, che avrebbe ragionevolmente impedito, stante la natura della sua sentenza, la permanenza di contrasti su una materia particolarmente delicata come quella dell’adozione di cui trattasi , anche per i riflessi sulla vita dei minori

Inconferente appare -e non si riesce a comprendere la rilevanza ai fini della decisione del caso in esame , il fatto,   evidenziato dalla Corte, nella parte finale della sentenza (pag 43 e seg), che “in quattordici Stati è consentita l’adozione alle coppie dello stesso sesso , mentre in Germania è possibile l’adozione del figlio del partner, così come in Croazia, Estonia e Slovenia, ma non l’adozione tout court“, tenuto conto che l’attività di interpretazione delle norme va effettuata ex art 12 Preleggi sopra citato; incomprensibile tale riferimento (peraltro generico) alle legislazioni nei vari Stati dell’ U.E. tanto più ove si consideri il principio di diritto stabilito in materia di rapporti tra ordinamento nazionale e diritto europeo enunciato anche di recente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo il quale i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea non trovano alcuna applicazione al di fuori delle materie assegnate dallo Stato alla competenza sovranazionale (Cass.,Sez.Unite 9.12.2015 n. 24823).

La Corte ha, infine, richiamato la Legge 20 maggio 2016 n.76 sulla “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso..” affermando che “non si applica alla fattispecie in giudizio” ; non ha però tenuto in alcun conto il fatto che il Parlamento non ha approvato, nell’ambito del disegno di legge sulle unioni civili, la “stepchild adoption” (stralciata non essendosi formata una maggioranza per l’approvazione di tale forma di adozione); non può sfuggire la rilevanza, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12 lett d) in questione, dei predetti lavori parlamentari (diffusi per lungo tempo da tutti i media) dai quali è possibile desumere che il Legislatore riteneva (e ritiene) evidentemente inesistente una norma che consenta espressamente l’adozione nei casi di stepchild adoption come quello portato all’attenzione della Corte .

Una sentenza non affatto chiarificatrice, dunque, quella in commento, per certi aspetti contraddittoria, che comporterà inevitabilmente un aumento delle richieste di adozioni di minori da parte di coppie dello stesso sesso e , nel contempo, purtroppo, anche l’illegale attività di procreazione , come quella che ha dato luogo alla vicenda processuale decisa dalla Cassazione .